nuovo cinema mancuso
Perché vedere "Dieci minuti"
La recensione del film di Maria Sole Tognazzi, con Margherita Buy, Fotinì Peluso, Barbara Ronchi
Il fidanzato dopo 18 anni se ne va con l’osteopata (della serie: ma un lavoro normale mai, nel cinema italiano?). “Una che hai visto due volte soltanto?” chiede lei con un’aria sfatta da musona inconsolabile. Anche lo spettatore vorrebbe fuggire – magari non con un’osteopata, e però chissà quale corrente di energia transita negli studi degli aggiusta-ossa. “Ma se le telefonavo davanti a te!” ribatte lui, interpellato per stappare la bottiglia di vino (lei non ha mai imparato, forse neppure a distinguere una richiesta di appuntamento da un amoroso chiacchiericcio). La tradita si reca dalla psicoanalista Margherita Buy, che ha un armadio pieno di kleenex – “li compro a cento scatole per volta”. Si dichiara “cognitivista comportamentale”, ha una sedia rotta nello studio, un’assistente viene licenziata in diretta, e continuano a sentirsi urla e strepiti poco rassicuranti – sarà un ospedale pubblico? Quando sentiamo “principio di realtà” e “psicodinamica” pensiamo seriamente di chiudere qui (son più di 18 anni che facciamo il mestiere, raramente i film migliorano, dopo un inizio tanto goffo). La paziente non è da meno, cita Calvino e la sua simbiosi con la moglie “siamo un unico animale bisessuale” – citazione non verificata, bisogna fidarsi della regista e di Chiara Gamberale che ha scritto il romanzo Dieci minuti. Ogni settimana, per guarire, fare per dieci minuti qualcosa una cosa mai fatta. E che fa paura. Guarisce la paziente, non certo il film.
Politicamente corretto e panettone