La protesta degli attori
Il cinema italiano in guerra contro Netflix
Le star italiane non sono poi così star, ma vogliono essere trattate da tali. Riunite nella sigla Artisti 7607, protestano contro le grandi piattaforme di streaming per non essere pagate abbastanza
Le rivendicazioni non finiscono mai. Venerdì scorso gli associati di oltre 20 sigle del settore cinematografico – parola d’ordine “vogliamo che ci sia ancora un domani” – si sono riuniti al cinema Adriano di Roma per rivendicare “soldi e certezze”. Dalle certezze legislative derivano i denari, sotto forma di contributi e tax credit – il meccanismo che sulla falsariga di quanto fanno in Francia consente uno sconto sulle tasse, in automatico. Se poi il film non incassa nulla, vuol dire che sei “un Autore che il pubblico non capisce”, e potrebbero perfino darti i soldi per girare un secondo film, facendo di te un Artista. Contano le cifre spese. Non la qualità del copione, la regia, neppure la cifra incassata. E’ un credito fiscale che si applica ai film girati, non a chi vince premi o attira gli spettatori paganti. La cifra chiave era 3,5: un euro investito nel cinema ne frutta tre e mezzo. Siccome esistono film che a fronte di cospicui contributi incassano una manciata di euro, per un simile “ritorno medio” devono esistere titoli che i denari li moltiplicano come al Campo dei miracoli. Sappiamo che “la vita di un film non si esaurisce con lo sbigliettamento”. Può essere venduto alle tv, che evidentemente comprano anche i titoli che in sala sono andati male o malissimo. C’è un palinsesto notturno da riempire, e i contratti pubblicitari sono stipulati, di nuovo, sulla media degli spettatori.
Neanche una settimana dopo la discesa in campo del cinema italiano tutto, protestano gli attori. Riuniti nella sigla Artisti 7607, una cooperativa che cura gli interessi di 3.150 attori e doppiatori italiani, e ha per nome la data dello statuto europeo degli artisti, 7 giugno 2007. Non protestano contro il ministero della Cultura. Protestano contro Netflix. E forse anche altre piattaforme, in prospettiva. Però è Netflix a essere citata in giudizio, in nome dell’equo compenso. Netflix risponde citando il Nuovo Imaie – sta per Nuovo Istituto mutualistico artisti interpreti esecutori, esiste dal 2010 (il vecchio è in liquidazione). “Iscriviti al Nuovo Imaie, è gratuito”, dice il sito. Istituto con cui Netflix, nella risposta agli attori, sostiene di avere da anni un accordo, e di aver cercato un accordo anche con Artisti 7607, fornendo “tutte le informazioni previste dalla legge” (ci sta sempre bene, nel paese degli azzeccagarbugli). Prima che questo articolo diventi il più noioso mai scritto, andiamo al dunque. Gli attori sostengono di non essere pagati abbastanza, per i film e le serie che vanno su Netflix, raggiungendo un numero di spettatori neanche immaginabile prima.
Quindi vogliono una parte dei diritti, o gli extra, o i bonus, meglio di tutti contratti più vantaggiosi. Globalmente, non come singole celebrità, che magari riescono a spuntare ottime cifre da soli. Come già fanno i registi italiani di qualche serie tv, ottenendo compensi che superano il milione di euro. Quotazione che, va detto, non tutti loro otterrebbero fuori dal mercato nazionale. La protesta degli attori americani era rivolta ai produttori – tutti insieme, cinema e tv – e ha bloccato, assieme allo sciopero degli sceneggiatori, l’industria americana per parecchi mesi. La protesta degli attori italiani chiede qualche punto percentuale sui ricavi, invece dello zero virgola.
Il puro calcolo sarà magari adeguato. Ma il cinema italiano non ha uno star system esportabile. Non ha George Clooney, e neanche Brad Pitt, né Zendaya o Timothée Chalamet, che hanno sottratto all’ultima mostra di Venezia il film “Challengers” di Luca Guadagnino (sarà in sala il 24 aprile, era ora). Senza i divi, perdeva valore. I fotografi si sarebbero girati i pollici – le celebrità locali sono sempre a disposizione. Gli articoli sui giornali avrebbero occupato meno spazio. Il grande cinema italiano – sempre celebrato – gli attori li prendeva dalla strada e li faceva doppiare. Il voltafaccia è un po’ brusco, agli occhi degli americani che prendono la recitazione, e il divismo, molto sul serio.
Politicamente corretto e panettone