cinema
C'è un colorato film di Guadagnino intorno al triangolo di "Challengers"
Zendaya e i suoi due tennisti. Un film drammatico, ma non troppo. E un trio perfetto, che regge benissimo gli andirivieni temporali senza gli antipatici trucchetti
Jules e Jim con le racchette da tennis. Zendaya al centro del triangolo, la più brava dei tre. Promessa del tennis mondiale, potrebbe diventare subito professionista ma si iscrive all’università “per sapere del mondo qualcosa di più oltre al rumore che fa la pallina sulle corde della racchetta” (per l’acustica del tennis, e molto altro in materia, leggere “Vite brevi di tennisti eminenti” di Matteo Codignola). Gioca con avversarie non all’altezza, in partita si fa male a un ginocchio. La carriera agonistica è finita, farà l’allenatrice.
In “Challengers” – il film di Luca Guadagnino che causa sciopero non abbiamo visto lo scorso settembre alla Mostra di Venezia – Zendaya è in tribuna, elegante e attentissima. In campo, l’uno e l’altro dei suoi amori: quello che ha sposato e allenato (la partita dovrebbe servirgli per riacquistare fiducia in se stesso) e quello che al momento non ha neanche i soldi per pagarsi l’albergo, la carta di credito è stata rifiutata, finisce per dormire in macchina. Si erano conosciuti da studenti, lei già famosa li va a trovare in camera, li bacia, dice “non voglio sfasciare una famiglia” (alludendo perfida all’amicizia tra i due). Uscendo dalla stanza, si mette in palio come trofeo per la partita del giorno dopo.
Un triangolo, drammatico ma neanche troppo. Ma intorno c’è un film di Luca Guadagnino. Colorato, con la colonna sonora di Trent Reznor e Atticus Ross, i primissimi piani di racchette, caviglie, calzini, polpacci pelosi, muscolatura varia sempre in posizione d’attacco, gocce di sudore, sguardi di odio tra rivali che fuori dal campo erano amici. Uno dei tennisti è Josh O’Connor (le orecchie a sventola più sexy in circolazione, non badate a quando faceva il giovane principe Carlo in “The Crown”, e purtroppo aveva una parte in “La chimera”, speriamo che essendo inglese non abbia capito cosa dicevano i tombaroli intorno a lui). L’altro è Mike Faist, americano dell’Ohio che aveva debuttato al cinema con “West Side Story” di Steven Spielberg (e in tv nella serie “Panic”).
Un trio perfetto, che regge benissimo gli andirivieni temporali senza gli antipatici trucchetti. Del tipo: ora a questa mettiamo gli occhiali, così si capisce che sono passati anni. Qui al massimo c’è un taglio di capelli diverso, e la recitazione fa il resto. Si perdono di vista e si ritrovano, sempre sul campo da tennis blu. Con la passione attuale per Pel di Carota Jannik Sinner, non dovrebbe essere difficile portare un po’ di gente al cinema.
Oltre ai fan affezionati, si intende. Che passano senza batter ciglio dal remake di “Suspiria” di Dario Argento (non riuscitissimo, ma sono due mostri sacri che non si possono criticare), alla tenerezza di “Chiamami col tuo nome” (con Timothée Chalamet che firmava autografi sulle pesche allungate dagli ammiratori) a “Bones and All”, lo strepitoso film sugli adolescenti cannibali (e non solo loro, c’era anche Mark Rylance con la treccia). Va detto che nelle sale concorrenti forti non ne ha.
La curiosità sta nello sceneggiatore di “Challengers”. Si chiama Justin Kuritzkes, è il marito della regista canadese, di origine coreana, Celine Song. Proprio lei, che era nominata all’Oscar per “Past Lives”. La storia della ragazzina – emigrata dalla Corea negli Usa con i genitori – che sposa un americano conosciuto a un raduno di scrittori. Finché l’amichetto di un tempo si fa vivo, via social, e la va a trovare a New York. Il tennis rende tutto più violento, o si vince o si perde. Il marito americano è gentile e premuroso, esce a cena in tre anche se i due ex piccioncini parlano fittamente solo in coreano. E ridono, mentre lui porta pazienza.
Politicamente corretto e panettone