Si piange tanto, al festival
Cannes fra lacrime e vecchi scandali. Di bei film però nemmeno l'ombra
Addio “romance”: solo pianti & commozione. Da Juliette Binoche in lacrime mentre consegna a Meryl Streep la Palma d'Oro a Greta Gerwing con gli occhi lucidi. E intanto, il grande cinema latita
Piangevano tutte. Non era solo commozione, piangevano calde lacrime. Da non credere, alla cerimonia d’apertura del festival di Cannes 2024. La più composta era Greta Gerwig, con i lucciconi ascoltava la colonna sonora di “Frances Ha”, colonna sonora della sua corsa nelle strade di New York: “Modern Love” di David Bowie, anche omaggio a una scena di Leos Carax, nel film “Rosso sangue”. Nell’inevitabile momento kitsch arriva la ballerina, veli e calzini bianchi. Camille Cottin – da “Chiami il mio agente!”, elegantissima in tuta nera che cadeva a piombo sul corpo senza curve – aveva fatto di tutto per raccontare con un po’ di spirito la vita assurda che si fa a Cannes. Aggiungendo un po’ di #MeToo: “E’ straordinario discutere di cinema giorno e notte, ma qui non si usa più invitare le ragazze nella propria camera in albergo”. Se ancora una signorina si sentisse in pericolo, cartelli dappertutto riportano i numeri di telefono da allertare in caso di violenza fisica oppure morale. Martedì in effetti ci siamo sentite moralmente molestate da Juliette Binoche con i capelli umidi per il gel che leggeva in inglese le motivazioni del premio alla carriera. Leggeva con voce strozzata dal pianto (una frase che non avremmo mai pensato di scrivere nella vita; ma era una scena da filodrammatica). Di fronte a lei, Meryl Streep che mentre gli applausi continuavano a oltranza aveva fatto finta di andarsene. E Binoche ancora non aveva cominciato a leggere il fascicolo, stampato a caratteri cubitali – gli occhiali mai, mentre la premiata accoppiava una montatura nera all’abito rosa, una bella (e utile, ci sono scalini da scendere).
Va a finire che dopo il “romance” torneranno di moda i film “mi sono divertito, ho pianto tanto”. In mancanza di polpettone, è stato scelto in apertura “Le deuxième acte” di Quentin Dupieux: intristisce se pensiamo che non c’era di meglio. Co-prodotto da Netflix, che ha partecipato anche al restauro dello strepitoso “Napoléon” di Abel Gance. Piattaforma un tempo non grata sulla Croisette – ci fu la rivolta dei distributori: i film presentati a Cannes devono andare prima di tutto in sala. Qui però l’algoritmo viene preso in giro, e “Le deuxième acte” è nelle sale francesi da ieri. Tutto fila liscio tranne il film, divertente all’inizio senza un vero svolgimento. En attendant “Furiosa” – il film di George Miller che nella grande lotteria dei biglietti non siamo riusciti a vedere in tempo per scriverne oggi, sarebbe stato bello avere almeno una guerriera – il film di Sophie Fillières arriva accompagnato da un carico di commozione. La regista è morta dopo aver terminato le riprese, dando incarico ai figli Adam e Agathe Bonitzer di provvedere, con qualche aiuto, al montaggio del film. “Ma vie ma gueule” – la mia vita la mia faccia, con riferimento a rughe e zampe di gallina – si lascia guardare all’inizio per la presenza di Agnès Jaoui, sceneggiatrice regista con il defunto Jean-Pierre Bacri di “Il gusto degli altri”. Una mezz’ora, e si capisce che neppure lei riesce a rendere sopportabili certe scene tra l’assurdo e il surreale.
La lista dei cattivi non è ancora nota, ammesso che ci sia davvero (forse è un trucchetto perché i colpevoli si auto-denuncino). Vengono buoni i vecchi scandali. “Maria” di Jessica Palud torna al classico: il burro di Bernardo Bertolucci e Marlon Brando, in “Ultimo tango a Parigi”. Stavano facendo colazione, un’occhiata d’intesa e la scena fu decisa. Non era nel copione, e neppure informarono la diciannovenne Maria Schneider. Che da allora cominciò a drogarsi, secondo la cugina Vanessa. Quanto alla censura, aveva fatto un buon lavoro su un film d’autore tanto noioso.
Effetto nostalgia