Adam Driver e Nathalie Emmanuel in “Megalopolis” di Francis Ford Coppola 

Fuori di Coppola

Mariarosa Mancuso

Francis Ford contro Hollywood: "Pensano solo ai soldi, non a produrre bei film". Quando del bastone non aveva bisogno, girava “Apocalypse Now” e già pensava a “Megalopolis”. La decadenza di New York paragonata alla caduta di Roma. Forse c’è ancora speranza

Francis Ford Coppola si scaglia contro Hollywood: “Pensano solo ai soldi e a ripianare i debiti, non a produrre bei film. Non dureranno a lungo”. La volpe e l’uva, giacché il maestro ha speso 120 milioni di dollari suoi – leggi: vigneti californiani – per finanziare “Megalopolis”, in concorso a Cannes. Non è la prima volta, ma gli altri erano piccoli film in bianco e nero. E no – sia detto per i fan: il film non aveva bisogno di più costosi effetti speciali, ma di una storia con un capo e una coda, magari senza Catilina e gli antichi romani. 
   

Abbiamo letto e ascoltato (vabbé, orecchiato) di tutto: sublime testamento, intuizioni grandiosamente filosofiche, cinema reinventato alla maniera del “Napoléon” di Abel Gance (1917) per via dello schermo diviso in due. Non c’era bisogno di reinventare nulla, l’inquadratura è ormai consueta anche nelle soap, quando i due amanti si telefonano. La perla delle perle: “nelle intenzioni era un film bellissimo”. E noi poveretti che abbiamo scelto il cinema perché è una faccenda di superficie: i risultati contano, delle intenzioni non dovrebbe occuparsi nessuno.
       

Francis Ford Coppola ha un occhio più benevolo verso le piattaforme streaming. “Amazon e Apple i soldi li hanno e potrebbero prendere il posto delle major con cui abbiamo a lungo felicemente lavorato”. Ma neanche le piattaforme, pure affamate di nomi celebri, hanno voluto finanziare “Megalopolis”. Il tipo di film da cui usciamo a testa bassa per evitare gli uffici stampa, e i colleghi che fanno smorfie. Solo smorfie, nell’articolo l’indomani il giudizio sarà rispettoso del maestro che saliva le scalinata rossa aiutandosi con il bastone.
      

Quando del bastone non aveva bisogno, girava “Apocalypse Now” e già pensava a “Megalopolis”. La decadenza di New York paragonata alla caduta di Roma. E dell’impero d’occidente; dell’oriente non c’è traccia se non per certi veli colorati, che potrebbero però appartenere al guardaroba delle spogliarelliste: per dire come lo spettatore avanza a tentoni. C’è pure un po’ di latino – che commuove gli americani, due accanto a noi ammiravano qualche scambio di battute nella lingua morta. E del resto, signora mia, se non possiamo fermare il tempo cosa resta da fare? Andare a rivedere “L’albero della vita” di Terrence Malick per un ripasso creazionistico e vulcanologico, con piedino di neonato da spot pubblicitario?
     

Stiamo decadendo, lo dice anche Francis Ford Coppola. Ma forse c’è ancora speranza, come dice il calendario di Frate Indovino (e pure Branko, e pure Rob Brezsny, capellone titolare della rubrica “Free Will Astrology”, in italiano sul sussiegoso Internazionale). Coraggio: le battaglie culturali vanno combattute dove non pensiamo di trovarle. 

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