Pop corn
I dannati
La recensione del film di Roberto Minervini, con Jeremiah Knupp, Noah Carlson, Tim Carlson, René W. Solomon
Direttamente dal Festival di Cannes – era in concorso nella sezione “Un certain Regard” – l’altro regista americano d’Italia: il documentarista Roberto Minervino, negli Usa da 24 anni. Il primo che viene in mente è Luca Guadagnino: altro genere, altri budget, altri incassi. “Challengers” ha incassato finora nelle sale italiane tre milioni e 700 mila euro, con una diva come Zendaya. “I dannati” di Roberto Minervino è costato due milioni e mezzo, gli attori quasi tutti dilettanti sono stati reclutati nel Montana (anche i vigili del fuoco). Finora il regista aveva girato documentari, come il carcerario “Che fare quando il mondo è in fiamme?”. Qui passa alla fiction, o qualcosa che ci va vicino. Come in “Civil War” di Alex Garland, c’è una guerra tra americani, senza altri dettagli: perché nessuno possa pensare che esistono “guerre giuste”, i combattenti non sono ben caratterizzati. “I dannati” combattono la Guerra di secessione (le divise un po’ aiutano a distinguere i sudisti dai nordisti). Si combatteva per gli schiavi liberati, non proprio una questione da poco. Per rafforzare il discorso “siamo contro tutte le guerre, presenti o passate, a combattere è le povera gente”, il rumore dei proiettili del 1862 – quando la pattuglia di volontari nordisti si inoltra in terre sconosciute – è distorto per sembrare contemporaneo. Ci sono i richiami a una possibile vittoria di Trump e ai tribunali che fanno politica. Messaggi su messaggi, ma non chiamatelo cinema.