(foto EPA)

cannes 2024

Dal popolo festivaliero un solo grido: la Palma al gangster musical messicano

Mariarosa Mancuso

Jacques Audiard non ha mai fatto un film uguale all'altro e non si smentisce nemmeno con "Emilia Perez". Intanto è tornata pure Demi Moore con un body horror

Palma! Palma! Il popolo dei festivalieri la richiede per Jacques Audiard e il suo film “Emilia Perez”. Francese, 72 anni, figlio d’arte – il padre Michel era il più stimato dialoghista del cinema francese – non ha mai girato un film uguale all’altro. “Un profeta”, “Sulle mie labbra”, “Tutti i battiti del mio cuore” hanno in comune solo l’ottima scrittura. Una Palma d’oro l’ha già vinta per “Dheepan”: la vita nella banlieue parigina di tre rifugiati che per entrare in Francia hanno finto di essere una famiglia. Potrebbe vincere la seconda con “Emilia Perez”, gangster musical messicano. E già basterebbe, come precedente possiamo citare il mafia musical di Roberta Torre “Tano da morire”.

A Jacques Audiard non bastava. L’avvocatessa Zoe Saldana, maltrattata dai colleghi e sottovalutata dai giudici, canta e balla il suo lamento di donna lavoratrice. La vediamo rapire e caricare in macchina – no, non per farla smettere, ma la voglia viene. Viene portata al cospetto di Manitas, boss della droga con un solo ardente desiderio: diventare donna. I soldi non sono un problema. Da due anni prende gli ormoni, ora l’avvocatessa deve trovare il chirurgo migliore e discreto, guai se i nemici lo venissero a sapere.  Detto e fatto, con gli optional: fianchi rotondi, tette avvantaggiate, niente più borse sotto gli occhi. Il boss sparisce durante una vacanza in Svizzera. Al posto suo c’è Emilia Perez: l’attrice transgender spagnola Karla Maria Gascon, nella parte del  boss prima e dopo la cura. Audiard si mette al riparo dalle accuse: siccome da un po’ recitare vuol coincidere più con l’antico “fare finta di essere qualcun altro”, gli attori devono somigliare al personaggio (gangsterismo escluso, pare di capire).

 

Mica è finita. Emilia Perez rivuole i suoi figli, fingendosi una cugina. Baci, abbracci, regali: “Hai lo stesso odore di papà”, dice la voce dell’innocenza in pigiamino. Con i figli arriva anche la giovane  e scalpitante vedova di Manitas. Emilia aiuta e cura i bambini svantaggiati, le madri sole e senza lavoro (i mariti, perlopiù, li aveva fatti sparire nella sua vita da gangster ). Una Madre Teresa in abiti Saint Laurent – tra i produttori c’è il direttore creativo della ditta, Anthony Vaccarello (in concorso ha altri due film: “The Shrouds” di David Cronenberg e “Parthenope” di Paolo Sorrentino – faremo i conti alla fine).

 

Ha un cappottino zafferano Demi Moore, quando si presenta al lavoro: fa un corso di aerobica in tv. Compie 50 anni, per la televisione – non quella italiana – è come avere un piede nella tomba (ma ancora un corpo notevole, devono averlo piallato con l’intelligenza artificiale). Fingiamo di crederle – c’è sempre tempo per confessare, come Jane Fonda dopo aver fatto vendere tonnellate di scaldamuscoli – “scusate ragazze, era tutto lavoro del chirurgo plastico”. Opera seconda di Coralie Fargeat, che scrive e dirige, “The Substance” è il film che ogni direttore di festival sogna nel suo programma. Horror, già vale parecchi punti se girato da una donna. Body horror, che ne guadagna molti altri: la bellezza e la giovinezza che spariscono. La regista si concede insistenti – che è ancora dir poco – primissimi piani del culo e delle cosce di Margaret Qualley, figlia di Andie MacDowell (le tette non vanno più tanto). 

 

Demi Moore disperata si inietta una sostanza segreta, e dalla schiena partorisce il suo smagliante doppio. Faranno una settimana ciascuno, le regole sono rigide: un corpo riposa e l’altro sculetta. I giovani critici ne vanno pazzi, ignari di “La morte ti fa bella”, regia di Robert Zemeckis. Qui pompatissimo con iniezioni di gore e splatter.