Kevin Spacey e Mena Suvari in una scena di “American Beauty” di Sam Mendes 

pop corn

L'importante è pentirsi. Revisionismo cinematografico, 30 film sotto accusa

Mariarosa Mancuso

Da "Via col vento" a "American Beauty", i classici di Hollywood non sono al riparo dal revisionismo woke. Tra accuse di razzismo, sessismo e whitewashing, nulla sfugge ai nuovi benpensanti

Nulla può dormire sonni tranquilli, a prendere polvere se è il caso, nella serena attesa di essere dimenticato. Nulla è al riparo dai revisionisti, che esaminano libri e film cercando dettagli utili per l’incriminazione. La polemica su “Via col vento” – con tanto di “trigger warning”: vedrete cose che possono turbare le anime sensibili – è di qualche anno fa. Assieme al divieto di rivedere “Dumbo”, l’elefantino con le orecchie enormi, per via di qualche corvaccio nero (che canta, in doppiaggese aulico: “Ne ho vedute tante da raccontar / giammai gli elefanti volar”).

      

“30 film invecchiati male”, annuncia il sito Lifehacker. Accanto, un fotogramma tratto da “American Beauty”, diretto da Sam Mendes nel 1999. Già la faccenda sembra molto oltre il ridicolo: c’era un’adolescente, Mena Suvari, e un adulto che le lanciava qualche occhiata di troppo (Kevin Spacey, per fare da aggravante). Ma finisce lì. Non la sfiora neppure con un dito. Scopriamo che non è il bagno tra i petali di rose rosse a urtare i nuovi benpensanti (neanche la nonna si sarebbe scandalizzata). E’ il vicino di casa, l’attore Chris Cooper, conservatore e gay – siamo negli anni 90 – che non regge e si suicida.
     

“Memorie di una geisha” non si può vedere (ammesso che uno lo voglia) per via del whitewashing, e perché le attrici sono sì asiatiche ma sbagliate. Dovrebbero essere giapponesi, una è cinese e l’altra malese. Facendo arrabbiare i cinesi, che considerano le geishe schiave sessuali. E pure i giapponesi, per orgoglio nazionale. Per inciso, anche “Kung Fu Panda” ha passato i suoi guai in Cina: ci facciamo rubare da Hollywood le glorie nazionali?
     

30 film sono tanti. Ci sono i vecchi insulti – prendere Mickey Rooney, mettergli vistosi denti finti e fargli fare Yunoshi, il padrone di casa asiatico di Holly Golightly in “Colazione da Tiffany” (regia di Blake Edwards dal romanzo di Truman Capote). E quelli meno vecchi come il dolciastro “The Help”: Viola Davis prese un Oscar e poi si pentì, per aver “tradito se stessa e il suo popolo”.
     

Sta nella lista perfino un film idiota come “Passengers”. Jennifer Lawrence viaggia nello spazio – un viaggio così lungo che i passeggeri sono ibernati per arrivare giovani, in grado di colonizzare un pianeta – e ha sempre i capelli del giusto color miele, e un taglio perfetto, di quelli che appena giri l’angolo del parrucchiere già sono in disordine. 
     

Ma non è questa l’accusa. Succede che Chris Pratt si svegli dal letargo per un guasto. Alla prospettiva di passare anni e anni da solo, sgela la passeggera più carina. Maschilità tossica, figuriamoci. Lui aveva anche cercato i dettagli sulla bella giornalista curiosando nel computer di bordo. Quel che ora facciamo su internet, sempre.

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