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Alla rincorsa del film perduto in un mondo inondato di prodotti televisivi
Ma come, non lo hai visto? "Non ancora" significa "mai più". Troppe le serie, troppi gli episodi, e al cinema per più di due ore è sequestro di persona. Come sopravvivere all’ansia di essere indietro su tutto. Con una confessione
Non hai ancora visto Under Paris? Ma come, il film sulla Senna che si riempie di squali, dai non è possibile, non puoi perdertelo, c’è pure Bérénice Bejo. E hai visto Lezioni di chimica su Apple Tv che ti avevo detto che è fatto apposta per te? E hai visto la seconda stagione di Prisma? E hai visto, vabbè neanche te lo chiedo, L’arte della gioia al cinema in due parti? Ma come “non ancora”? Non prendermi in giro, lo sai che non ancora è: mai.
Che conversazioni imbarazzanti, che senso di inadeguatezza, che sindrome di esclusione. Poco più di un mese fa mi sentivo la regina del mondo perché avevo visto Baby Reindeer appena uscito su Netflix, e lo facevo pesare: non l’hai ancora visto? Sei pazzo? Ci riparliamo quando arrivi alla quarta puntata. Ma adesso, il boomerang: a un amico che mi chiede se ho visto i primi due episodi di Presunto innocente (la serie, ovviamente, non il film della preistoria), ma oltre a Presunto innocente almeno anche Capote Vs The Swans su Disney+, e almeno anche Un uomo vero, e almeno anche le quattro puntate della nuova stagione di Bridgerton, ho confessato che l’ultima serie che ho visto è, appunto, Baby Reindeer. Non l’ho detto a cuor leggero, ma ci conosciamo da tanti anni, lui sa che negli ultimi due mesi non ho avuto il tempo di respirare, io l’ho sempre sostenuto nelle difficoltà, pensavo di non dovermi vergognare insomma: l’amicizia conta. Invece ha alzato il braccio, gettando la mano all’indietro, e facendo il gesto del passato remoto ha detto con sincero rammarico: vabbè ma non hai visto un cazzo di niente.
Non è esattamente così, ma non è socialmente accettabile fare precisazioni: ho visto Challengers al cinema in giorni in cui nessuno voleva andare al cinema, ho visto Confidenza di Daniele Luchetti, ho visto due puntate di Un uomo vero, ho visto Prisma ma la prima stagione non la seconda quindi non vale, ho visto Il problema dei tre corpi tutto fino alla fine, ho ricominciato Gossip Girl che mi fa sempre tremare il cuore, ho riguardato per la diciottesima volta Hannah e le sue sorelle e sto per rivedere Pretty woman perché tra poco lo tolgono da Netflix e sento che potrei morire. Ho noleggiato su Apple Tv (rifacendo l’abbonamento) Thelma e Louise per farlo vedere a mia figlia e abbiamo litigato sul finale, lei ha detto che io non accetto la morte. È vero, io non accetto la morte.
Ma sono in ritardo, drammaticamente in ritardo, ed è incontrovertibile che “non ancora” significa “mai più”. Anche per la serie che ho aspettato, desiderato, che non vedevo l’ora uscisse, che ho chiesto in ginocchio all’ufficio stampa il link, che ho giurato di non condividere mai con nessuno: poi clicco sul link, piena di gratitudine e di attesa, mi sistemo sul divano e succede qualcosa, non so che cosa, qualcosa di sempre diverso ma sempre uguale (una telefonata, le cavallette, un attacco di fame, suonano alla porta, un pacco di Amazon, un giradito) e l’attimo è perduto, ma io mento a me stessa e dico vabbè ma tanto sono in anticipo sul mondo, ho un sacco di tempo, e invece il tempo passa e non ritorna più. L’anticipo diventa ritardo, il ritardo diventa la tentazione di mentire: certo che l’ho vista, bellissima, non ci sono parole.
Ma non la vedrò mai, perché nel frattempo ne sono uscite altre ottocento, e tutte pensate, scritte e girate apposta per me, e c’è anche un podcast che se non lo ascolto verrò esclusa dal consesso civile, ma non solo ci sono cose nuovissime e meravigliose, c’è anche la necessità di rivedere con calma I Soprano perché è la serie più bella del mondo ed è passato troppo tempo dall’ultima volta.
Io però faccio una cosa, una cosa vergognosa e indicibile, ma ho deciso di confessarla perché la condivisione può aiutare qualcuno a sentirsi meno solo. Purtroppo l’unica volta che ne ho parlato sono stata trattata come un’assassina da una persona che diceva di amarmi, confido che voi cari lettori sarete meno giudicanti. Voglio però precisare: non è una cosa che faccio sempre, ma solo in situazioni di seria difficoltà. E solo quando decido che è giusto. L’ho fatto con la quarta stagione di Manifest, una serie di pseudo fantascienza, apocalisse e divinità che non riuscivo a smettere di guardare pur vergognandomene, l’ho fatto con Shameless quando le stagioni sono diventate troppe, l’ho fatto a volte con certi film pieni di paesaggi, l’ho fatto una volta anche con un film che ha vinto l’Oscar. Va bene, lo dico: quando la piattaforma lo permette, aumento la velocità. Non la raddoppio lo giuro, ma aggiungo un quarto di punto, praticamente elimino i tempi morti e gli sguardi e le riprese dall’alto e i silenzi eloquenti. Risparmio tempo, e alla fine di una serie di quindici ore ho guadagnato più di tre ore. Che posso investire in due film brevi o in tre puntate lunghe di qualche capolavoro su cui sono in bestiale ritardo. Grazie a questo escamotage ho recuperato la seconda stagione di Call my agent italiano. Sia chiaro, è una confessione e non è un consiglio, non fate come me, io sono da disprezzare, anche se il mio personale baratro non comprende certo l’abisso degli over 18 che hanno visto C’è ancora domani soltanto quando è uscito su Sky. Io su Sky l’ho rivisto, perché comunque ci sono limiti anche all’abiezione. Ma dopo la delusione di Poor things non so come comportarmi con i centosettanta minuti del nuovo film di Lanthimos. A un certo punto diventa una questione di sopravvivenza, e allora ne approfitto per fare un appello: un’ora e quarantacinque è la durata perfetta di un film al cinema. Dopo le due ore e dieci è un rapimento.
Anche perché a casa c’è tutto Truffaut che mi aspetta su Mubi, e come posso non far vedere a mio figlio tutti i film di Truffaut finché viviamo insieme? Voglio che un giorno dica di sua madre, come io lo dico della mia: non era perfetta ma mi ha fatto vedere tutti i film di Truffaut e anche Innamorarsi e anche Il grande freddo e anche Presunto innocente (fitta di angoscia al pensiero della serie non ancora cominciata). Insomma, bisogna tenere conto del fatto che in questa corsa contro il tempo rischiamo di perdere il contatto con le opere del passato, e che il passato arriva in un attimo: il film di Wim Wenders, Perfect days, si sta avviando velocemente a diventare passato e io non l’ho ancora visto, praticamente è quasi come se non avessi visto E.T. Si può stare al mondo serenamente, dignitosamente, senza avere mai visto E.T.? La domanda è retorica e la risposta è che devo recuperare Wim Wenders sulla piattaforma a costo di mettermi degli stecchini negli occhi dopo aver visto il documentario su Bergman. E che la questione è seria perché non si può nemmeno non avere visto I Goonies. Io ad esempio non posso parlare con una persona che non ha visto I Goonies, puoi anche essere un premio Nobel ma io e te non abbiamo nulla da dirci, e così molti altri riterranno giustamente di non voler avere niente a che fare con me che ho visto solo la prima stagione di Scandal perché subito dopo ho avuto la polmonite e non ho più avuto il coraggio di affrontare quei ricordi. Ma ecco, uso la polmonite come esempio: se per un motivo qualunque, legato al lavoro, alla salute, a un problema sentimentale, non riusciamo a vedere niente, né al cinema né a casa per quindici giorni, che cosa succederà? Verremo espulsi dall’universo, è ovvio. Oppure inizieremo a mentire, una bugia dietro l’altra fino a che la nostra personalità si avvicinerà a quella dell’Avversario di Carrère, con il rischio di conseguenze anche gravi.
Adesso, certo che se non hai visto Anatomia di una caduta al cinema puoi recuperarlo su piattaforma, ti è stata offerta una seconda possibilità, ma devi essere consapevole che questa rincorsa avrà delle ricadute sui Cigni di Truman Capote, e magari non avevi visto nemmeno Joan Crawford contro Bette Davis, quindi capisci che la situazione ti sfuggirà ben presto di mano, a meno che tu ti imponga da qui ad agosto di cenare alle 18 e andare a dormire verso le tre del mattino, senza mai uscire la sera, senza mai parlare con nessuno (se sgarri, se un giorno decidi di bere un bicchiere con la tua amica, o anche solo di telefonarle, la tua amica tirerà fuori una serie coreana in quaranta episodi che è davvero impossibile non vedere). È come con gli esami di riparazione: hai preso tre materie, cioè hai perso due stagioni, tre film e almeno quattro documentari. Se non prendi ripetizioni, se non ti metti a studiare seriamente, rischi la bocciatura. E stiamo parlando solo dei fondamentali, ma lo sappiamo tutti che le cose più belle sono quelle piccole e inaspettate, o almeno quelle che hai visto solo tu e ti permettono di bullizzare gli altri facendoli sentire esclusi. Hai visto Camping, questa serie molto woodyalleniana che non ha ancora visto nessuno ma che potrebbe esplodere da un momento all’altro? Se sì, puoi farla valere perfino contro Oppenheimer, o puoi spingerti oltre e dire che Oppenheimer è troppo maschilista e pomposo e ti rifiuti di vederlo. Molti fanno così con gli ultimi film di Woody Allen, ma io penso che sia un trucco per prendere tempo. È rischioso, anche perché spunta sempre un Ken Loach che ti sei perso, spunta sempre il film italiano rivelazione, e chi sono io per non avere ancora visto Enea? Chi sono io per snobbare Bridgerton, fingendo di non essere d’accordo con non so più quale scelta storica, quando la realtà è che muoio dalla voglia di averlo già visto?
È questo il punto: tutto quello che non ho il tempo di vedere, tutto quello che non ho la forza di affrontare perché dura troppo, tutto quello che perdo perché mi sono incantata su Instagram o a tavola invece di rispettare la tabella di marcia, tutto quello che ho perso semplicemente perché ho perso il ritmo, io vorrei tanto averlo già visto. Al liceo mettevo il libro di letteratura greca (il Canfora) sotto il cuscino per assimilarlo durante la notte, adesso proverò a metterci il computer o la tivù. O a lasciarli accesi sulle serie non ancora viste, perse, abbandonate, oppure, ancora peggio, amate e non continuate perché la vita reale (che volgarità) ha preso il sopravvento. Intanto mi sono iscritta a Letterboxd, per dimostrare che non ho paura di mostrare al mondo le mie lacune. Non avendo finora nessun follower, è molto consolante: sembra quasi che ci sia ancora tutto il tempo di recuperare il tempo perduto.