Twisters

Mariarosa Mancuso

La recensione del film di Lee Isaac Chung, con Glen Powell, Daisy Edgar-Jones, Anthony Ramos, Brandon Perea

Balzo da un piccolo e sentimentale film come “Minari” – prodotto da Brad Pitt con la sua “Plan B Entertainment”, premio della giuria al Sundance, vincitore di un Golden Globe – al blockbuster catastrofico hollywoodiano. C’è riuscito, in pochi anni, il regista Lee Isaac Chung. Anche l’attrice british Daisy Edgar-Jones viene dalla miniserie “Normal People”, di culto come il romanzo di Sally Rooney da cui è tratta (“Persone normali”, edizione italiana da Einaudi: genere “faccio cose, ma soprattutto chiacchiero”; il primo libro della scozzese era intitolato “Parlarne tra amici”). Glen Powell è il nuovo figo, t-shirt bianca e jeans, e si sa che a furia di cacciare tornado prima o poi la maglietta si inzuppa. Il film di Richard Linklater “Hit Man” lo ha lanciato definitivamente, era il serial killer che tutti vorremmo arruolare (voi no? maddai! e magari il film non l’avete ancora visto?). Tutti insieme, si sono messi a rifare “Twister” di Jan de Bont (al singolare, anno 1996). Per carità, nulla di male. Anzi adesso abbiamo il riscaldamento globale, dicono che i fenomeni atmosferici saranno sempre più rovinosi. Il film non insiste sul catastrofismo, e per questo è stato severamente ammonito. Su Vulture leggiamo: “avrebbe dovuto essere più intelligente, oppure più idiota”. La solita mania: alzare il livello dei blockbuster, che devono essere spettacolari e fracassoni. E basta. Niente mucche che volano: cose che non si possono fare più, neanche con le mucche di gomma.

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