(1935-2024)
Il gigante Alain Delon, faccia d'angelo e Borsalino. Preferì la Francia e l'Italia al cinema americano
Nato nel 1935 a Sceaux, ricco sobborgo parigino, fu espulso dall'esercito per insubordinazione durante la guerra in Indocina. Divenne attore per caso. Il ruolo nel "Gattopardo" di Luchino Visconti e la Palma d'onore ricevuta a Cannes nel 2019
Un gigante. Una leggenda. L’uomo più bello del cinema francese (nel cinema americano il ruolo se lo aggiudica Paul Newman). Il gangster e il professore di filosofia con il cappotto di cammello e la sigaretta. L’emigrato a Milano che trova lavoro in una lavanderia, fa a pugni sul ring e cerca di far cambiare vita alla prostituta Nadia. Faccia d’angelo e Borsalino, nella grande stagione del noir e del polar francese che raccontavano il clan dei siciliani. Il principe Tancredi che spezza il cuore a Concetta, nobile e squattrinata, e sceglie la figlia del parvenu Calogero Sedara.
Occhi azzurrissimi e lunghe ciglia, volto più o meno ambiguo a seconda di quel che decidevano i registi. Alain Delon fu il perfetto Mr Ripley nel primo adattamento del romanzo di Patricia Highsmith che alla bellezza del suo protagonista teneva molto. Diretto da René Clement, titolo “En plein soleil”, per gli spettatori italiani diventò “Delitto in pieno sole”. Andrew Scott, nella recente serie Netflix di Steven Zallian, era troppo ombroso, troppo adulto, con un broncio da sfortunato in cerca di riscatto. Il personaggio lo è, certo. Ma lavora di seduzione, il rancore è ben nascosto, motore primo degli omicidi e delle azioni truffaldine.
Delon era nato nel 1935 a Sceaux, ricco sobborgo parigino. Fu espulso da parecchie scuole, e poi dall’esercito. Durante la Guerra d’Indocina passò quasi un anno in carcere, per varie insubordinazioni. Rubò una jeep - immaginiamo, con la disinvoltura di Tony Curtis in “Operazione sottoveste”: si appropria di un maiale vivo e per camuffarlo lo traveste da “commilitone ubriaco”. Nel 1956 fu cacciato con disonore. L’anno dopo, il colpo di fortuna: accompagna a Cannes l’attrice Brigitte Auber e viene notato dal produttore David O Selznick che gli offre un contratto. Dovrà solo imparare in fretta l’inglese. Non fa in tempo a pronunciare “the cat is on the table” (con un accento che comunque lo avrebbe condannato a personaggi non di lingua madre, a Hollywood non doppiano) che arriva la proposta francese. Un anno dopo era già Monsieur Ripley, sulla costiera amalfitana a tramare. Gli americani non glielo perdonarono, forse a Delon un po’ di voglia rimase. Lo disse al Los Angeles Times, ma poteva essere una cortesia verso gli ospiti.
Anche gli americani ricordano Alain Delon per “Il Gattopardo” di Luchino Visconti - eppure c’era Burt Lancaster al suo fianco, meraviglioso e rassegnato principe di Salina. Per la scena del ballo di Tancredi con Angelica (Claudia Cardinale, una gara di leggiadria). Per lo splendore del palazzo. Per la maniacalità di Luchino Visconti che volle gli armadi e i cassetti pieni di preziosa biancheria d’epoca - da quando lo sappiamo, ci siamo chiesti con che occhio l’aristocratico abbia scelto i panni di Rocco, della prostituta Nadia (l’attrice era Annie Girardot), la palestra di pugilato, l’Idroscalo delle scene violente, e subito censurate. Amano “Il Gattopardo” senza rancore per Delon che preferì la Francia e l’Italia. E senza affezionarsi alla frase di Tancredi diventata un feticcio: “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”. Non la dice il principe di Salina, piuttosto conservatore come lo era Tomasi di Lampedusa.
Nel 2019 a Cannes diedero a Alain Delon una Palma d’onore, ricevuta con un discorso così triste che faceva male sentirlo (peggio a guardarlo, succede a certe bellezze francesi, stesso destino di Brigitte Bardot). Il Guardian preferisce ricordarlo con una fotografia del 1967: c’era Marianne Faithfull, seduta tra Alain Delon e Mick Jagger. Marianne chiacchierava e rideva con Delon, il di lei fidanzato Jagger era piuttosto seccato.