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Venezia 2024

Il Festival del cinema di Venezia come Sanremo

Saverio Raimondo

Il PalaBiennale quest’anno sembra un po’ l’Ariston. E Barbera l’Amadeus del cinema italiano 

Mio padre è all’ospedale, e io sono qui al Festival di Venezia a fare il cretino. I miei sensi di colpa hanno sfilato sul red carpet dell’81esima Mostra del Cinema assieme al cast del film d’apertura “Beetlejuice Beetlejuice” di Tim Burton, dove Jenna Ortega interpreta una figlia adolescente disposta a sposare un fantasma e andare a vivere con lui nell’aldilà pur di rivedere suo padre defunto – lei sì che è una figlia devota. Intendiamoci, non che io non sia preoccupato: mio padre è il mio commercialista. Ma sono qui per fare il corrispondente dal Lido per tutta la durata del Festival, ed è bene che mi metta al lavoro, sento che fatturare farà stare meglio sia me che lui e sarà comunque un modo per stargli vicino. Perché siamo tutti dei figli, ma qualcuno è anche partita Iva – e io sono fra questi. Dunque, Venezia dicevamo: appena si esce dalla stazione dei treni, ad accoglierci c’è una gigantografia di Isabelle Huppert per Balenciaga (lei è la presidente della giuria che premierà i film in concorso quest’anno) con in grembo una tote bag di quelle che passi le ore a frugarci dentro in cerca delle chiavi di casa, ma è l’unica abbastanza grande per metterci dentro un Leone d’Oro.


Poi però arrivo al Lido per ritirare il mio accredito con relativa bag ufficiale della Mostra – gialla, brutta, meglio la shopper della piattaforma per cinefili Mubi (scritta bianca su fondo blu, molto mare) che qui va per la maggiore, è un segno distintivo, forse ci si rimorchia – vi farò sapere, la sto indossando apposta anche io in questi giorni; e qui finalmente, uscito dal Palazzo del Cinema ho un’epifania: il Festival di Venezia si sta sanremizzando. Lo capisco quando vedo Gigi Nardini, noto come il sosia di Luciano Pavarotti (nell’ultimo anno è anche dimagrito parecchio per continuare a somigliare al celebre tenore morto nel 2007), presenza fissa fuori dal Teatro Ariston durante la kermesse canora ma che in questi giorni è qui, che si fa le foto con le locandine dei film fuori dall’Hotel Excelsior, quello dove passano tutti i vip in arrivo alla Mostra – Nardini invece dorme a Jesolo, fa il pendolare ogni mattina per venire al Lido a presenziare, esserci, proprio come a Sanremo. E proprio come a Sanremo, durante la cerimonia d’apertura al PalaBiennale ha cantato Clara, la stessa che ha cantato per prima e “aperto le danze” al Festival di Sanremo di quest’anno. Coincidenze? Del resto Alberto Barbera è l’Amadeus del cinema italiano: quello che attira i grandi nomi e fa i grandi numeri. Con la differenza che la Biennale si è affrettata a rinnovargli il contratto per altri due anni, mica come la Rai – altrimenti a quest’ora Barbera stava sul Nove. 


Senza pandemia da Covid né scioperi a Hollywood, questo è l’anno in cui Venezia aggancia Sanremo; e se a febbraio con Conti si dovesse registrare una flessione rispetto agli anni passati, la prossima edizione potrebbe essere per Venezia quella del sorpasso. Qui le star di Hollywood vengono senza il bisogno di mostrare orrende scarpe antinfortunistiche ai piedi; e nessuno gli chiede di ballare il ballo del qua qua. Tutti vengono trattati bene e ci fanno un figurone, a cominciare da Winona Ryder: era dai celebri casi di cleptomania che ne affossarono la carriera nei primi anni 2000 che non si affacciava a un festival di cinema così importante, e invece ora eccola qui, sorridente, spiritosa, professionalmente rinata. Auguro la stessa sorte a Piero Fassino. Proposta: e se il Festival di Sanremo lo facessimo organizzare dalla Biennale di Venezia?
 

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