Dalla mostra del cinema di Venezia
Cronaca di ordinaria mondanità a Venezia, nella festa più ambita, con sbadigli
Una volta si veniva alle feste per fare vita sociale; ora per fare contenuti social. Tutti hanno un gran daffare con il proprio telefono, nessuno che incroci lo sguardo con gli altri, con il risultato che non ci si mischia, non si conosce gente nuova, non si flirta con gli sconosciuti
Venezia. Alla Mostra del Cinema di Venezia, più ambita del Leone d’Oro è la festa Campari. Dei tanti party che accendono le serate qui al Lido, quello organizzato dal celebre bitter, sponsor ufficiale della Mostra, è sempre il più atteso. E anche il più esclusivo: l’invito è strettamente personale e non c’è possibilità di ottenere un +1, neanche dietro minacce, tangenti o sequestri di persona. Il fatto che io sia stato invitato lo considero il mio più grande successo sociale, o il più grave errore che sia mai stato commesso nella compilazione di una lista degli invitati.
La location del party di quest’anno è l’aeroporto di Venezia-Lido Giovanni Nicelli, brandizzato per l’occasione con loghi Campari e luci rosse ovunque. Come direbbe Alessandro Borghese: location, voto 10! All’ingresso gli imbucati vengono rimbalzati da un servizio di sicurezza evidentemente addestrato da autorità libiche; mentre chi – come me – è dotato di regolare invito digitale viene “imbarcato” con tanto di consegna di un finto passaporto. Non provavo un simile brivido di emozione alla lettura di un QR Code dai tempi del green pass.
Il tema della festa di quest’anno è il viaggio, per la precisione quello in aereo, come da location: il personale della festa è vestito da hostess e steward, l’ingresso è un terminal, la pista da ballo è allestita dentro un hangar. È tutto così realistico che mando giù uno Xanax, come ogni volta che prendo un aereo. Percorro le piste d’atterraggio per arrivare al bar principale (un altissimo monolite di bottiglie Campari), ordino un Boulevardier e sorseggiandolo mi guardo attorno. C’è un wall al quale gli invitati fanno la fila per farsi fotografare; un’altra fila d’invitati attende invece il proprio turno per scendere la scaletta di un aereo vintage, molto Casablanca, diretti da un regista (“esci dall’abitacolo e guarda l’orizzonte... ora scendi i gradini lentamente...”) a beneficio di una cinepresa montata su un dolly; droni ovunque planano ronzando sopra le nostre teste, filmandoci. Essendo in un aeroporto noto la recinzione militare tutta attorno a noi, sostanzialmente la festa si sta tenendo dietro il filo spinato; sembra di stare nel film “La zona d’interesse”, ma col Negroni al posto dei nazisti.
Percorro la festa in lungo e in largo, e origlio in giro: nessuno parla dei film della Mostra, in generale nessuno parla di cinema, e ancora più in generale la conversazione latita, i pochi chi parlano lo fanno con persone che già conoscono, mentre gli altri (la maggior parte) sono alle prese con le attrazioni solipsistiche ed egotiche di cui sopra. Se questa festa fosse uno dei film in concorso alla Mostra, vi direi che scenografia e fotografia sono bellissime, ma manca completamente la sceneggiatura. O, restando in tema aeroportuale: la festa non decolla. E non certo per colpa di Campari: loro i drink per sciogliere le inibizioni ce li mettono in mano, i dj suonano ottima musica, lo spazio non manca; siamo noi che non sappiamo più divertirci.
In pista non balla più nessuno, la gente sotto cassa si limita a filmare i dj con gli smartphone. Una volta si veniva alle feste per fare vita sociale; ora per fare contenuti social. Tutti hanno un gran daffare con il proprio telefono, nessuno che incroci lo sguardo con gli altri, con il risultato che non ci si mischia, non si conosce gente nuova, non si flirta con gli sconosciuti. Che palle! Poi, all’uscita dalla festa (era l’una passata), al molo riesco a intercettare un taxi e do un passaggio a due ragazze anche loro reduci dalla festa e dirette a Venezia come me. Ed è stato durante il tragitto di ritorno su quella imbarcazione, semplicemente parlando, che noi tre finalmente ci siamo divertiti.
Politicamente corretto e panettone