LaPresse

Venezia 2024

Almodóvar favorito per il Leone d'oro, ma non è il Pedro che abbiamo amato

Mariarosa Mancuso

Il tifo per “Queer” di Guadagnino e anche per William Burroughs

"E allora chi ha vinto la Mostra di Venezia?”. La domanda accoglieva puntuale il cronista appena rientrato, fino all’anno scorso (la premiazione è stasera, sabato, alle 19, seguita dalla proiezione dell’ultimo film di Pupi Avati, “L’orto americano”). Quest’anno tutti vogliono sapere: “Com’è la serie su Mussolini?”. Meno sbrigativamente, per dare a ognuno il suo: la serie “M - Il figlio del secolo” con Luca Marinelli nella parte del capopopolo. Scritta e diretta – per fortuna – da Joe Wright che ha tolto un po’ di italianità e ha ben diretto gli attori. Andrà su Sky il prossimo anno, ma la Mostra dà prestigio: da qui il breve preavviso dato ai critici per vedere e giudicare le otto puntate, 412 minuti complessivi.

Se avete anche voi un leggero fastidio a sentire continuamente parlare di Benito Mussolini (magari dicendo: “Ha fatto anche cose buone”) consigliamo la serie a piccole dosi. “Si attizzano gli ultimi e gli si mettono in mano le bombe”, dice il futuro dittatore, che alle prime elezioni prende 5.000 voti, e comincia a dubitare della democrazia. 

Questa la pratica, derivata dalla la teoria: “C’è sempre un tempo in cui i popoli vanno verso le idee semplici: la sapiente brutalità degli uomini forti”. Non abbiamo mai pensato che una serie tv potesse influenzare gli spettatori – poi abbiamo visto Steven Spielberg seduto sulla carcassa del dinosauro (tutta gomma e meccanismi) e i commenti che lo insultavano: “Cacciatore e criminale”. Rischia di venire qualche dubbio.

“M - Il figlio del secolo” era fuori concorso, come le altre serie (la prima che vedrete in streaming è “Disclaimer” di Alfonso Cuarón, qualsiasi cosa faccia, su Apple tv l’11 ottobre prossimo). Sennò i premi avrebbero reso felice il conte Volpi di Misurata, presidente della Biennale di Venezia dal 1930 al 1943 (la Mostra viene istituita nel 1932).  Noi tifiamo per il Leone d’oro a “Queer” di Luca Guadagnino, e anche per William Burroughs che ha scritto il romanzo (da Adelphi con lo stesso titolo, il film è fedelissimo). Starebbe bene anche una Coppa Volpi per Daniel Craig, ma non si può avere tutto nella vita. Nella classifica dei giornalisti, “Queer” sta in seconda posizione, appena dopo “The Room Next Door” di Pedro Almodóvar che fa tanta tenerezza con il suo completo rosa e i capelli bianchi. Purtroppo il film è di una tristezza rara. Racconta Tilda Swinton che chiede a Julianne Moore di starle vicina mentre prende la pillola per suicidarsi. Non proprio vicina, nella stanza accanto. E butta lì qualche frase sulla morte del pianeta.

Bellissimo, ma del genere surreale-sconnesso che quasi mai vince ai festival, “Kill the Jockey” di Luis Ortega, con il bravissimo attore Nahuel Pérez Biscayart. Fantino a Buenos Aires, drogato e alcolizzato, con un corpo mingherlino adatto al mestiere, meno per smaltire le droghe. Avanza come un burattino, con la faccia da Buster Keaton. Direttore della fotografia Timo Salminen, preso in prestito da Aki Kaurismaki (e si vede).
Abbiamo un debole anche per “The Brutalist” di Brady Corbet. Grandiosa prova d’attore per Adrien Brody, anche lui meritevole di Coppa Volpi. La storia di un architetto fuggito dall’Ungheria e diventato famoso in America. Costruendo con il cemento, e regalando a un miliardario la più bella stanza per leggere mai vista. Per le attrici, Tilda Swinton e Julianne Moore uniscono l’impegno alla bellezza, a un gran guardaroba colorato, a una splendida casa nei boschi per prendere la pastiglia mortale trovata nel dark web, Pedro è sempre bravo, ma ancora abbastanza depresso. Mettere insieme suicidio e morte del pianeta non ricorda il Pedro che abbiamo amato.
 

Di più su questi argomenti: