Venezia 2024
Il ritorno del poliamore in un film che spariglia mondi che non si parlano
“Coppia aperta quasi spalancata”. Da “jules et Jim” al metapartner: il sesso promicuo si fa più serio e complesso, passando sul red carpet di Venezia
C’era una volta il poliamore di “Jules et Jim”, le scorribande in bianco e nero di Jeanne Moreau, “le tourbillon de la vie”. Oggi il poliamore torna di moda e dilaga tra i giovani. Ma nel frattempo si è fatto serioso, complicato, prescrittivo. Anche i poliamorosi vanno da “Roma Sposa”. Scelgono l’abito. Vogliono la fede col “nido d’amore”. Ed è subito “trottolino poliamoroso”. I pop-corn vanno giù che è una meraviglia davanti a questo “Coppia aperta quasi spalancata”, film su un tema di stringente attualità anche ministeriale che parte come una sfida: mettere insieme lo scintillante mondo di Chiara Francini (qui anche produttrice) e la regia “francescana” di Federica Di Giacomo (antropologa-documentarista, alle spalle reportage “visionari” sugli alloggi popolari a Bari o le pratiche esorcistiche e altre cose molto off-off). Immaginatevi quindi Chiara Francini, vestita come Chiara Francini, catapultata in un vero gruppo di sostegno poliamoroso al Pigneto, quartiere antagonista e bohemien di Roma. Oppure in un vero collettivo femminista a San Lorenzo (idem), dove tutte insieme si “decostruisce il patriarcato” e ci si libera dell’oppressione capitalistica sui corpi non-conformi. Immaginatela mentre prova a convincere le suddette femministe che nessuna donna al mondo, potendo scegliere, “vorrebbe essere grassa”. Che avere chiappe toniche e sode è insomma un desiderio legittimo. Immaginate il gelo, l’imbarazzo femminista mentre le spiegano che “non c’è alcun empowerment nel dimagrimento” e ha appena detto qualcosa di molto “grassofobico”, e non sta bene, non si fa.
“Coppia aperta quasi spalancata”, passato a Venezia e ora al cinema, è un film che spariglia con metodo e follia mondi destinati magari a non incontrarsi e non si saprebbe bene come definirlo: saggio, inchiesta, documentario arthouse, block-notes ma anche backstage dell’omonimo spettacolo da un testo di Franca Rame e Dario Fo che per tre anni Chiara Francini e Alessandro Federico hanno portato su e giù per l’Italia. Il classico di Rame-Fo si scompagina, si accartoccia, si dilata, si rimette in circolo nella vita e negli slogan di oggi.
Quindi non personaggi, ma persone, storie, incontri, perché la realtà vince ormai su tutto, e si evita così anche l’overacting che affligge molti film italiani (nessuna attrice saprebbe fare così bene quelle femministe). C’è la vita di Chiara Francini, c’è Frederick, il suo compagno svedese e pragmatico che le ha insegnato come “fatturare” e smetterla con gli spettacoli nei teatrini scalcinati. C’è la mamma di Chiara, magnifica come attrice, più brava di quella di Scorsese in “Quei bravi ragazzi”. Ci sono i giovani woke che alla fine dello spettacolo contestano tutto (“non c’è pensiero critico”), rifiutano quell’idea di coppia aperta perché ancora coppia, quindi borghese, roba anni Settanta, peggio che essere boomer. “Oggi siamo andati un po’ avanti”, dicono. Forse perché nella vecchia coppia aperta non c’era il “metapartner”, figura nuova e un po’ notarile che all’occorrenza fa anche il lavoro dei nonni, perché “sotto i cinque a fa’ i genitori non gliela poi fa’”. C’è Carlo Consiglio, arzillo novantacinquenne, il Francesco Alberoni del poliamore, che però con la sua partner (metapartner?) ha qualche cedimento, farfuglia di un’“amica di Mantova” mentre lei lo fulmina, come tutti gli infedeli.
Franca Rame raccontava che durante la tournée di “Coppia aperta”, il suo camerino sembrava lo studio di uno psicanalista. Alla fine dello spettacolo tutti chiedevano consigli su come liberarsi della monogamia. Lei diceva “non fatelo, per carità, nella stragrande maggioranza dei casi finisce in tragedia”. Anche Chiara Francini svolazza sopra cliché, tic, luoghi comuni sul tabù ma anche sul mito della purezza inseguito dai poliamorosi, animati da una fede parareligiosa, ubriachi di ideologia, poco tolleranti con noialtri che ci mettiamo le corna. E allora si capisce che il poliamore è anche una scusa come un’altra per raccontare una società polarizzata su tutto. Ognuno abbarbicato al suo punto di vista, convinzioni, credo, dogmi. Sia monogamo eteronormato che poliamoroso e rivoluzionario.
Arriva in sala con un tempismo notevole. Al povero Sangiuliano sarebbe bastato dichiararsi “poliamoroso” e chiuderla lì, senza gogna, lacrime, scontrini, sfoggiando casomai un foulard arcobaleno e trasformando la consigliera-influencer nella sua metapartner.