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Novità in sala

Basta film per famiglie, anche Ron Howard ha capito che non si può evitare il male

Mariarosa Mancuso

Il regista di "Elegia americana" presenta a Toronto un thriller storico dove i personaggi dimostrano la loro sgradevolezza minuto dopo minuto: un cupo racconto ambientato su isola deserta, dove ogni fiduciosa ambizione di una società perfetta e pacifica soccombe sotto il caos della perfidia umana

I paradisi sono interessanti perché prima o poi spunta un serpente. Nessuno lo spiega meglio di James Ballard, in quasi tutti i romanzi: le comunità perfette e armoniose, decise a tener lontano il male non esistono. Pur costruite con le migliori intenzioni non durano. Non in natura, imponendo di vivere poveramente in capanne tutte uguali, e neppure nei quartieri per ricchi separati dal mondo con una sbarra. Una corda pazza deve averla anche Ron Howard, finora regista di film per famiglie. 


Con una sola eccezione, “Elegia americana”. Piuttosto noioso, ma con il senno di poi ha altri e più gravi difetti. Quando l’abbiamo visto al cinema, era la storia di un ragazzo cresciuto tra mille difficoltà in mezzo ai bianchi poveri. Con la nonna con la scure e fucile – uguale a mamma Yokum nei fumetti di Al Capp con Li’l Abner – la mamma era drogata. Poi abbiamo scoperto che il protagonista era J. D. Vance, ora scelto da Trump come vice candidato presidente – le fatiche del giovanotto sui libri hanno fruttato bene.

                    


Al Festival di Toronto, che si è aperto il 5 settembre e durerà fino al 15, Ron Howard ha presentato “Eden”. Titolo di Variety: “Thriller storico in un’isola remota con personaggi che diventano più sgradevoli di minuto in minuto”. Promettente, anche per aggiornare la lista dei personaggi – ahimè sempre più ridotta – che si possono ritrarre come negativi. 
Presentando a Toronto il film in prima mondiale, Ron Howard ha raccontato di aver scoperto la storia mentre era in vacanza con la famiglia alle Galapagos. Subito pensò di ricavarne un film. Incaricò Noah Pink di scrivere la sceneggiatura: era rimasto colpito dal film “Tetris”: aveva la giusta esperienza per raccontare diverse persone a caccia della stesso stesso oggetto del desiderio. Ora il tesoro da cacciare era ben più grande.


Nella Germania di fine anni Venti, il dottor Frederick Ritter (Jude Law) e la moglie Dora Strauch (Vanessa Kirby) partirono da Berlino per trovare rifugio nella nella remota e deserta isola di Floreana, a sud delle Galapagos. A Guayaquil, Friedrich Ritter ebbe l’idea di un nuovo modo di vivere e pensare, ripudiando la religione e i valori familiari. I suoi scritti arrivarono in Europa, provocando un certo brivido tra i radical chic – le radical chic – dell’epoca. In sintesi: l’umanità era spacciata. Incredibile la velocità che serve ai malesseri personali a diventare universali. Arrivano nel 1932 anche Heinz e Margret Wittmer, accompagnati dal figlio Harry. Male accolti dai primi arrivati che volevano rimanere soli e tranquilli, e disprezzati come turisti. Alle due famiglie si aggiunge una baronessa, intenzionata a costruire un albergo di lusso proprio sulla spiaggia. Il pioniere numero uno si ritira in solitudine - difficile cercare la perfezione negli altri. La baronessa funge da serpente fin dal primo momento, sfruttando le debolezze altrui. La pacifica isoletta comincia a somigliare a un manicomio. Ambientalisti e rousseauiani hanno avuto la loro lezione: caos e edonismo, altro che società perfetta dove di mangia staccando il manghi dall’albero.

La fotografia è adeguata, cupa fin dall’inizio, e la colonna sonora suggerisce che succederanno cose terribili. Una sorta di “Signore delle mosche”, il romanzo del premio Nobel William Golding e il film di Peter Brook sui ragazzini che dopo il naufragio sull’isola deserta, si organizzavano in una società egualitaria e per nulla pacifica. Anche loro volevano una società perfetta e senza religione, poi si inchinano al signore delle mosche. Una testa di maiale mezza putrefatta e circondata di mosche.
 

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