La recensione
Un po' Dorian Gray, un po' Faust. È il patto col diavolo di Demi Moore
"The substance": l'eterna giovinezza a settimane alterne. Il film uscirà nelle sale italiane a fine ottobre, speriamo non accompagnato dalle frasette che mettono in guardia gli spettatori sensibili (i maschi)
“I giovani hanno solo il dovere di invecchiare”, sentenziava Don Benedetto Croce, nato quando l’infanzia esisteva per pochi privilegiati, e la gioventù non era prevista per nessuno. Invecchiare non costa fatica e non richiede sforzi particolari, né fisici né intellettuali – ma non era questo che Croce intendeva, pensava che magari avanzasse il tempo per leggersi un libro, anche con le figure. Non ne faremo una questione di modernità, gli impiastri che le donne – e ora per pari opportunità anche i maschi – spalmano in faccia per cancellare la rughetta cominciano nella notte millenaria. E finché il cibo scarseggiava, qualche rotondità era apprezzata. Oggi va la clavicola scheletrica.
Demi Moore – nel film si chiama Elizabeth Sparkle, che sta per scintilla o per luccichio – lavora in televisione. Lezioni di danza per casalinghe, fasciata nel costumino sgambato reso celebre dall’aerobica di Jane Fonda (molto imitata a casa nella speranza di buttar giù mezzo etto; poi confessò che il bikini verde nel film “California Suite” le stava a pennello dopo una bella piallata del chirurgo estetico).
Elizabeth Sparkle compie 50 anni, il capo – un orribile Denis Quaid che sbavando sgranocchia crostacei – la invita a pranzo e la licenzia. Lei scopre un siero miracoloso chiamato “The Substance” – come il titolo del film diretto dalla francese Coralie Fargeat. Proibito, ma nel profondo web si trova tutto (te lo fanno trovare in una cassetta numerata, da raggiungere dopo un cunicolo buio da maniaci, o da canale del parto: alle registe francesi ogni tanto scappa la mano).
“The Substance” era nel maggio scorso al Festival di Cannes, che ormai riserva un artistico angoletto femminista alla carne, al sangue, alle copule tra donne e automobili (nel 2021, il film era “Titane”: nasce un pupetto ghiotto di olio motore, amorevolmente cullato da Vincent Lindon). Il film con Demi Moore uscirà nelle sale italiane a fine ottobre, speriamo non accompagnato dalle frasette che mettono in guardia gli spettatori sensibili (i maschi, le spettatrici, più toste, sanno cos’è un parto).
Iniettata la pozione, Demi Moore-Elizabeth giace accanto alla vasca da bagno (in stile piuttosto ospedaliero, tutto bianco). Ha una lunga cicatrice lungo la spina dorsale, ma proprio lunga. Vicina a lei, la nuova Elizabeth: giovane e scattante come Margaret Qualley (la figlia, nella vita, di Andie McDowell: un’altra che sembra aver preso la pozione, e sfoggia una magnifica chioma grigia riccioluta).
Mai scommettere la testa con il diavolo, suggeriva Edgar Allan Poe. Figuriamoci il corpo, pur cinquantenne. C’è la clausola scritta in piccolo nel contratto. Il corpo giovane e quello meno giovane si alterneranno. A scadenze settimanali. Il corpo nuovo ha bisogno di stabilizzarsi. Guai a fare il fretta, come la maionese impazzisce.
Un po’ siamo dalle parti di Dorian Gray. Un po’ dalle parti di Faust. Sempre, nei racconti horror dove si chiede “voglio vivere per sempre” (ma non l’eterna giovinezza, già nei “Viaggi di Gulliver” Jonathan Swift prendeva in giro la richiesta imprecisa). Nelle fiabe dei tre desideri, come “La zampa di scimmia”: il primo desiderio è dissennato, il secondo cerca di riparare, il terzo provoca la catastrofe. Coralie Fargeat è stata premiata a Cannes per la sceneggiatura – la regia ha ancora addosso un filo di grasso.
Quando hai una storia così bella – antica come la fontana della giovinezza e postmoderna, per non dire eterna – e due attrici così coraggiose è sciocco lasciare spazi vuoti perché il pubblico ci metta le didascalie. Ne parleranno a casa, o andando verso il ristorante. Magari la palestra, chissà.
Effetto nostalgia