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Perché vedere Familia, una storia tragica davvero
La recensione del film di Francesco Costabile, con Francesco Gheghi, Barbara Ronchi, Francesco Di Leva, Tecla Insolia
Due pezzi di carta segnano i momenti culminanti. La moglie e i due figli chiedono la cancellazione del marito e padre dallo stato di famiglia. Nella lettera a papà, il ragazzino scrive "non picchiare la mamma". È una storia tragica davvero, non il pupazzetto smarrito elevato a trauma da psicoanalisi (abbiamo rubato la frase a Sidney Lumet, la usava per sbeffeggiare certe trame: "Da piccolo gli hanno rubato il giocattolo, ora che è cresciuto fa il serial killer" – in "Fare un film", era nella bellissima collana il Castoro).
La psicoanalisi non sanno cosa sia, la mamma supplisce crescendo i figli come una chioccia, per una decina d'anni vivono protetti dal genitore che sta in galera. Poi il padre Franco esce dalla prigione, cerca la famiglia, la considera cosa sua. È la storia vera di Luigi Celeste, raccontata nel libro "Non sarà sempre così". Luigi Celeste si è ribellato, per difendere la madre e il fratello ha ucciso il padre che li minacciava con un coltello. Invitando il figlio maggiore, che per sfogare la rabbia frequentava un gruppo neonazista, a uscire e a farsi i fatti suoi. Aveva sedici anni, da tre era in comunità, per stare al riparo dei maltrattamenti.
Tiene a dire, in un'intervista, di non essere cresciuto leggendo "Mein Kampf", era solo molto arrabbiato (nel film la sua controfigura Francesco Gheghi partecipa a riunioni e ripete le parole d'ordine della X Mas). Oggi Luigi Celeste lavora come consulente informatico a Strasburgo.
Effetto nostalgia