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Popcorn

Un'indagine per scoprire che i registi temono più i pop-corn in sala dello streaming

Mariarosa Mancuso

L'inchiesta della rivista britannica Empire "il futuro del cinema" interroga non gli esperti o gli analisti, ma chi il cinema lo fa sul serio come il vincitore della Palma d'oro a Cannes 2024 Sean Baker

La domanda è per chi il cinema lo fa. Per chi lo scrive e lo gira. Non per chi lo commenta, e neppure per chi lo guarda (quest’ultima categoria è fortemente implicata nel disastro – del resto non capita mai di interrogarsi sul futuro di qualcosa, se va va bene o benissimo). “Il futuro del cinema” – paro paro – è il titolo a caratteri cubitali di un’inchiesta sul numero di dicembre della rivista Empire. Roba seria: vengono interrogati i registi che il cinema lo fanno sporcandosi le mani – non i cosiddetti esperti, analisti, possessori di sfere di cristallo per guardare nel futuro, maghi eternamente smentiti che già avevano da ridire sul cinema “parlante”.

Comincia a dire la sua il più strepitoso regista di cui non avete mai sentito parlare: Sean Baker, vincitore della Palma d’oro a Cannes 2024 con “Anora” – è il nome della protagonista. Uscirà nelle sale italiane il 7 novembre (come se da maggio in qua meravigliosi titoli abbiano fatto a botte per uscire). Ricordano il suo nome i fortunati che si sono imbattuti in “The Florida Project”, o prima ancora in “Tangerine”, girato con uno smartphone.

“Come descriverebbe con una parola lo stato del cinema?”, gli chiede Empire. “Angosciante – ma con un briciolo di speranza”. Giudicate voi, continua il regista: “Gli streaming prosperano, ma non è così che vorremmo mostrare i nostri film. Così facendo danneggiano il futuro della sala. Il Covid ha fatto il resto. E pure i registi ormai decidono di girare serie”. Per me è davvero frustrante, aggiunge Sean Baker, anni 53: “Ho l’impressione di essere arrivato in cima, dopo anni di sforzi, quando la forma d’arte che mi interessa se ne sta andando alla deriva”. Tra i nomi promettenti cita Joanna Arnow – quasi 40 anni, una Lena Dunham più cinica, bravi se la trovate in giro: le piattaforme sono inutili quando servirebbero.

Risposta più articolata per Paul Feig, il regista di “Le amiche della sposa”. “Il cinema si sta evolvendo”. Spiega: “Il pubblico non è più omogeneo, si è fatto sofisticato grazie alle immagini generate artificialmente; ogni volta dobbiamo inventare qualcosa per sorprenderlo e abbagliarlo. Per me, questo bagliore viene dai personaggi e dai colpi di scena, e da qualche effetto speciale che rilancia la narrazione”. Come esempio cita l’horror “Abigail” (era uscito a maggio scorso, sappiamo che anche l’horror va tenuto d’occhio, ma non sempre ci si riesce).

Ancora una domanda per Paul Feig: “Lo streaming è una benedizione o una maledizione?”. Dice Paul Feig: “Una benedizione per i registi che vogliono semplicemente fare il loro film, vederlo finito, sapere che esiste”. C’è, anche se nessuno lo vede”. E le sale, cosa dovrebbero fare? ”Poltrone più comode, ma non reclinabili fino a diventare letti. E niente cibo durante la proiezione”. Ci deve pur essere una differenza con il divano di casa.

Luca Guadagnino dichiara “La regola del gioco” di Jean Renoir come ultimo film che lo abbia davvero trascinato. Il suo segreto: “Rischiare molto e puntare sull’intelligenza degli spettatori”. Sofia Coppola si dichiara “speranzosa” per il futuro del cinema e cita come ultimo film visto e molto apprezzato “La zona di interesse” di Jonathan Glazer.

Il veterano George Miller – bisogna aggiungere tra le credenziali gli ultimi due recenti strepitosi “Mad Max”? – definisce lo stato del cinema attuale “darwiniano”: “Vincerà il più adatto nella catena dell’evoluzione”. L’ultimo film che lo ha appassionato davvero? “Anora”, di Sean Baker, che di effetti speciali non ne ha – forse qualche capitombolo e mitragliatrice – ed è una meravigliosa modernissima storia d’amore. Ci sono i russi – non quelli di “Guerra e pace”.

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