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Popcorn

Bogart, forse il più grande?

Mariarosa Mancuso

Un nuovo documentario esplora il rapporto tormentato tra il grande attore hollywoodiano e suo figlio Stephen, costretto a vivere un'infanzia lontana dai genitori. Impegnati a tempo pieno tra lavoro e feste mondane

“The whole Bogart thing”. Non è un modo troppo gentile per riferirsi a un genitore, né ignoto né famoso come era Humphrey Bogart. Il figlio Stephen Bacall, che porta il cognome della madre Laureen Bacall, sostiene di aver impiegato anni per chiudere i conti con l’ingombrante figura. Ma ancora dichiara al Guardian – che ne fa il titolo dell’articolo sul documentario di Kathryn Ferguson “Bogart. Life Comes in Flashes” – “per i miei genitori, le feste e i cocktail venivano prima dei bambini”.

  

   
Ricorda una scena della serie “Mad Men” – più o meno anni 60. Don Draper, rientrato a casa dopo lo stress da pubblicitario, chiede al figlio piccolo di preparargli un Tom Collins: gin succo di limone zucchero e soda senza dimenticare la ciliegina al maraschino. Il ragazzino esegue, da perfetto barman serve la mistura a papà che porta i soldi a casa (ora l’alcol è bandito; secondo il New Yorker a New York ci si ritrova per un rito a base di ayahuasca).


La coppia Bacall-Bogie amava festeggiare, non sembra esserci niente di tanto grave. Negli Usa avevano inventato la margarina al posto del burro, ma con l’alcol ci davano dentro. Il figliolo oggi ha 75 anni, vive in Florida con la seconda moglie, ha lavorato come produttore, e però ricorda ancora quando i genitori partirono per girare “La regina d’Africa”. Lui per lavorare – accanto a Katherine Hepburn – e lei per compagnia. Decisero di lasciare il pupo a casa con la governante. Poteva essere una scelta sensata: se avete visto il film e anche se non l’avete visto, sei mesi in Africa non sono proprio una passeggiata per un bambino di due anni, tanti ne aveva il rampollo.


Immaginate la scena. Le tragedie hanno sempre un risvolto comico. Papà e mamma fanno ciao dall’aereo, il bimbo fa ciao ciao in braccio alla governante, e appena l’aereo si stacca da terra la poveretta stramazza a terra. Morta. Emorragia cerebrale. I genitori vengono informati dopo l’atterraggio. Il bambino è rimasto solo. Laureen Bacall lo dirotta dai nonni. Come scena primaria, in effetti, ha una sua crudeltà. Quanto ai materiali tirati fuori dalla polvere per il documentario, la cosa finisce qui. Non vuole scrivere un libro, gli sembra di aver saputo abbastanza dal documentario di Kathryn Fergusson. I tre litigiosi matrimoni prima di Laureen Bacall, il cancro che lo aveva ridotto a 40 chili, la consorte che non voleva credere che sarebbe morto di lì a poco. Il documentario discute se sia stato o no il più grande attore di Hollywood. Record che sembra improbabile, visto che in circolazione c’erano Cary Grant e Paul Newman. Cary Grant aveva cominciato da saltimbanco, ed era diventato elegantissimo. Humphrey Bogart era di buona famiglia, anche quando beve dalla bottiglia di gin traspare una certa grazia.

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