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Marisa Paredes era la meno almodovariana tra le attrici di Almodóvar

Mariarosa Mancuso

È difficile parlare delle interpreti che hanno lavorato con il regista spagnolo senza incorrere nei guai di questa epoca. Lei era una di loro: aveva recitato, tra i tanti film, in "Tutto su mia madre” e "La pelle che abito"

Per uno che resiste come Mel Brooks – 98 anni fatti a giugno e gliene auguriamo altri, rimane allegro e mordace come durante la sua interminabile giovinezza – se n’è andata Marisa Paredes. La meno almodovariana – e bravissima – tra le attrici di Pedro Almodóvar e compagnia. Si fa presto ad ambientarsi nei film di Pedro – parliamo dei titoli che portarono fuori dalla Spagna ormai libera e benestante la parola “movida” – se un’attrice ha la faccia di Rossy de Palma. La donna con la faccia che pare disegnata da Pablo Picasso, scomposta in un gran ritratto cubista. Meravigliosa e ironica, forte della sua presenza scenica – non osiamo neanche dire con quel viso, già potrebbe scattare un’accusa di body shaming.

 

E’ difficile parlare delle attrici di Pedro Almodóvar senza incorrere nei guai di questa epoca. Non parliamo di Tilda Swinton e neppure di Julianne Moore, che in “La stanza accanto” hanno fatto piangere molte delle persone intelligenti che conosciamo – non c’è di meglio per due attrici già sublimi che trovarsi faccia a faccia con la morte. Muore una di loro, l’amica ritrovata dopo anni di lontananza promette che al momento fatidico dormirà nella stanza accanto. Fanno mestieri diversi, la fotografa di guerra e la scrittrice, entrambe di successo. Sono attrici in un film di Almodóvar, per la prima volta ambientato a New York. Per caricare l’effetto ci sono voluti abiti di design e case d’architetto.

 

Parliamo di “Tutto su mia madre”, dove Marisa Paredes fa la prima attrice nella messa in scena di “Un tram che di chiama desiderio”. Il dramma sul palco finisce, comincia la tristezza del mondo. Un giovane fan che con la madre infermiera Manuela, era andata a vedere lo spettacolo, insegue l’auto della diva e rimane ucciso. E fin qui tutto regolare, son cose che succedono. Meno regolare è il padre del ragazzo, che ha fatto la transizione e ora è una donna. Meno regolare è il monologo di Agrado – una delle “chicas del montón”, per citare un altro Almodovar ruspante – che attacca “io sono mia”, e va avanti, come se avesse attaccati i cartellini del prezzo. “Queste tette mi sono costate tanto, il grasso per arrotondare i fianchi pure, e questo nasino? Non avete idea di quanto ho dovuto spendere. Ma sono mia, con le ricevute”.

 

Non incolpiamo Pedro Almodóvar perché come tutti sente gli anni che passano, i fidanzati che imbiancano (o che non vogliono essere nei suoi film in ruoli che la mamma disapproverebbe), allo specchio vede qualche ruga e i capelli candidi. A Venezia ancora ha osato il completo giacca e pantaloni rosa confetto. Non è solo colpa sua, se è diventato tenero. Però noi preferiamo la scuola di George Burns. Più vecchio di Pedro, scherzava: “Se non fosse per qualche borseggiatore, la mia vita sessuale sarebbe a zero”.

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