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Ferzan Ozpetek, che ha trovato i Diamanti a Cinecittà
E poi libri, serie, spettacoli dell’inarrestabile del regista che ha trovato Hollywood a Roma
Un cinema milanese del centro, giovedì sera. Dal primo spettacolo escono soprattutto coppie di mezza età. È bellissimo!” dice una signora che potrebbe essere mia madre. Il marito annuisce. Esce, anche, Marcello Dell’Utri. Marcello Dell’Utri a vedere Ozpetek è una notizia. A Roma è lo stesso (ma senza Dell’Utri). “Ah, Diamanti!”, senti sospirare nelle situazioni più disparate. Come se fosse un profumo o un dolce natalizio molto calorico, ma che piace tantissimo, soprattutto a chi si vuole coccolare un po’ con quell’estetica anche rossa con lettering dorato come un prodotto da forno o frigo della Ferrero. Un Ozpetek Rocher, una turkish delight. “Diamanti”, l’ultimo film di Ferzan Özpetek, sta battendo ogni record a quello che una volta si chiamava il botteghino.
“Ferzan Özpetek è il regista turco più italiano e romano di tutti i registi italiani e romani”, ha scritto il direttore di Vanity Fair Italia Simone Marchetti. C’è forse una certa simmetria tra l’invasione di serie televisive turche sul piccolo schermo italiano e lo strapotere del turco in Italia sul grande. Se sul piccolo trionfano questi drammoni con attori e setting tutto sommato simili ai nostri, con barbe e drammi familiari, titoli come “The Family” (“Alie”), “La rosa della vendetta”, “Segreti di famiglia”, secondo un’inchiesta dell’Economist, Istanbul è diventata la nuova Hollywood, mentre Hollywood va in fumo. E l’Italia è uno dei mercati più di successo. Del resto lo stesso Pier Silvio Berlusconi, ricordate, aveva rivelato un anno fa: “Quando vado a trovare mia mamma (la riservatissima Carla Elvira dall’Oglio, prima moglie di Silvio Berlusconi) la trovo sempre che guarda serie turche. E mi dice: ‘Ciao Pier Silvio, ora o ti siedi con me e la vediamo insieme oppure torna un’altra volta’”.
Ma noi il turco ce l’avevamo già in casa. E che turco. Il turco romano. Il turcomanno. Quindici film, quattro romanzi (“Rosso Istanbul”, “Sei la mia vita”, “Come un respiro”, “Cuore nascosto”), tutti editi da Mondadori, tutti enormi successi, e poi spettacoli teatrali (“Mine Vaganti”; “Ferzaneide”; “Magnifica presenza”, in scena in questi giorni) che fanno il tutto esaurito. E poi la serie tv, “Le fate ignoranti”, su Disney Plus. Nel mondo di Ozpetek non si butta nulla, è una perfetta economia circolare, se nell’ultimo “Diamanti” la sua attrice musa, la turca Serra Ylmaz, non compare, riciccia nello spettacolo teatrale “Magnifica presenza”. Ma è la figura stessa del regista che ormai buca la quarta parete e pure la quinta, si affaccia e si racconta tra le ben 18 attrici di “Diamanti”. Come gran burattinaio mette pure il naso fuori sovrintendendo a tutto il suo cast e mondo interiore che diventa show. The artist is present, il turco si affaccia. E si racconta; come in “Ferzaneide” ("un viaggio sentimentale attraverso il racconto dei miei ricordi, delle suggestioni e delle figure umane che hanno ispirato molti dei miei film. Questa volta sul palco ci sarò io, io solo, ad incontrare il pubblico con il racconto della mia carriera artistica e del mio sentimento per la vita, la mia e quella degli altri. Nell’amore, nell’amicizia, nello stupore, in tutti quei gesti e luoghi illuminati dalla passione”).
Curiosamente Ozpetek ha fatto solo una serie televisiva, ma perché probabilmente ha capito che soprattutto ultimamente il pubblico ha di nuovo voglia di uscire di casa. Dell’esperienza, dell’experience. E l’esperienza Ozpetek si può delibare in varie versioni, da comodino, da televisione, da teatro, appunto da cinema. È scalabile. E’ un dolce da viaggio la delizia turca. Ma sempre in confezione deluxe, quelle di plexiglas luccicante che si trovano nel periodo natalizio ai supermercati. E' un cinema con la comodità della tv, con in più una patina d’antico, da mobile in stile, una serie televisiva di Rai Uno o di Canale 5 ma di qualche anno fa. Anche la musichetta di “Diamanti” (non la canzone ufficiale cantata da Giorgia ma quell’altro motivetto al piano che accompagna il film) ricorda tantissimo sceneggiati epici come “Il Bello delle Donne”, culmine produttivo e di rilevanza culturale dei Tarallos e della Ares film di stanza a Zagarolo degli anni Duemila, epicentro del camp da palinsesto per famiglie.
L’effetto Tarallos è dato anche dalla moltitudine di volti tra cui quelli più riconoscibili sono Pura Televisione, Mara Venier in testa, che qui interpreta una cuoca dal passato misterioso che sfama tutte le signore, sempre intenta alla cucina, sempre abbigliata con dei camicioni, e sempre con una gran cuccuma di caffè in mano, fino al climax di un pranzo per 40 (seduti!) finale, che appiana tutte le differenze, i drammi, mette d’accordo perfino due attrici che si odiano, nella finzione una del teatro e una del cinema, nella realtà Kasia Smutniak (quindi cinema) con la tv di Carla Signoris, già meta-televisiva nel leggendario "Avanzi" e poi normalizzata al piccolo schermo da “Tutti pazzi per amore” e “Studio Battaglia” e infine incellofanata nel pacco natalizio Ozpetek.
“Nessuno sa sentire le donne come Ozpetek”, si dice negli ambienti cinematografari romani, e viene in mente un vecchio libro di Aldo Busi, appunto, “Sentire le donne”, eppure nessuna ruvidità, nessuno spigolo nel mondo caramellato di Ozpetek. Nella turcheria di Ozpetek l’omosessualità è sempre meno politica, o problematica, come invece nei romanzi dello scrittore bresciano. Sempre più gastronomica, una questione di gusti e papille; “La parola marito non mi piace”, ha detto. “E nemmeno matrimonio: preferisco unione civile. È più bella. Io mi innamoro spesso di altri uomini e di altre donne. Fa parte della mia passionalità”. E ancora: “Nella vita bisogna aggiungere, non togliere”, come una padrona di casa romana sull’Appia Antica alle prese col placement.
In questa gran gastronomia di facce, tra sospironi e perline, lacrime e gocce di zucchero, si segue la più pura unità di tempo di luogo e d’azione aristotelica: non ci sono flashback né altre diavolerie del cinema moderno, tranne molti movimenti circolari di macchina un po’ ipnotici, che fanno capire d’essere al cinema e pure al cinema d’autore, ma le pieghe della sceneggiatura più ardua vengono spiegate al pubblico che magari si è assopito come il taffetà della sartoria (“sai, anche io ho sofferto, per quell’incidente”). Parigi, tante volte evocata, per “Cristobal”, che non è il corriere del Glovo ma Balenciaga, fa venire in mente un altro film corale un po’ più moderno, il “Parigi, o cara” scritto e interpretato da Franca Valeri, che nella splendida cornice del laghetto dell’Eur interpretava la prostituta Delia, che cercava “’a Concorde”, la piazza, infelice come e più di Luisa Ranieri qui monumentale.
E domatrice del plotone di attrici sublimi. Domatrice per procura, perché il circense è lui, Ozpetek. Io Ferzan, tu Jane. Nel pacco “da giù” in arrivo da Istanbul non ci sono solo le ben 18 interpreti in carne ed ossa ma pure alcune che sono solo evocate, il film è dedicato infatti a Mariangela Melato, Virna Lisi, Monica Vitti, tre grandi dive defunte a cui si rende omaggio. “Noi non siamo niente ma siamo tutto”, dice una delle 18 creature viventi ozpetekiane in “Diamanti”, mentre si è appena risolto un problema con un abito per un filmone con una costumista nientemeno che premio Oscar, con l’invenzione di metterci le carte delle caramelle Rossana, trucco magari che arriverà dal passato proprio di Ozpetek studente all’Accademia di costume e moda, e che riporta a quel gusto dolciastro e un po’ da casa dei nonni del film, quelle caramelle aristocratiche e un po’ da bordello, o borsello, che appunto ci rifilavano e noi le si prendeva solo per gentilezza senza mai mangiarle, lasciandole nelle tasche.
Ma dopo tutte quelle cantate e magnate tra ragazze, le “13 teglie di lasagne”, e i caffè di zia Mara, una caramella non si rifiuta. Si esce infatti soddisfatti e satolli, in fondo 18 attrici per 9 euro, sono 50 centesimi cadauna, meglio delle offerte del tre per due del panettone dopo Natale. In fondo si porta a casa molto: un “Paradiso delle Signore” però in confezione David di Donatello; ripieno di canditi di messaggio sociale (il marito manesco), una glassa di tv di qualità con Geppi Cucciari, l’uvetta femminista di “C’è ancora domani” ma qui non si vota, e giammai saremo in bianco e nero, qui siamo anzi nel mondo coloratissimo e rutilante tra Rossana (ma non Rossanda). Insomma un middlebrow di furbizia orientale che non lascia scampo. I mariti maneschi fanno una brutta fine (ricetta turca per sopravvivenza femminile dal Cucchiaio d’Argento Erdogan edition?).
Che bravo, però, che invidia. Aiuta anche l’ ambientazione negli anni Settanta a Roma, che è il momento in cui il regista non ancora regista, ma che si fece le ossa proprio nel mondo delle sartorie per il cinema, comincia a lavorare e sognare il cinema. La Roma anni Settanta già messa in scena in “Nuovo Olimpo”, che forse strizzava l’occhio a “Nuovo Olimpia”, cinema d’essai invece ancora fortunatamente in attività per i cinefili dei film in lingua originale del centro storico: era la storia di due ragazzi che si perdono e si ritrovano mentre fuori impazza la rivoluzione. Mentre in “Diamanti” pure arriva la rivoluzione o almeno la manifestazione, e la giovane scapestrata nipote di una costumista trova rifugio dalla Polizia nella nostra sartoria, inopinatamente e immediatamente svelando un talento purissimo per rouches, spacchi, mantelli (come dire, citando un altro film mica male: dov’eri tu mentre c’era la rivoluzione? Stavo prendendo un cappuccino da Tirelli).
Nel film non ci sono gay, ed è una novità. “Non metto l’omosessualità nei miei film, son gli altri che la tolgono”, aveva detto un tempo Ozpetek con battuta niente male, in quest’ultimo invece l’ha tolta pure lui. Forse svolta meloniana o forse s’è stufato, lui che era il regista gay par excellence, a partire da quel “Bagno turco” sensuale ed esotico che l’aveva lanciato, e poi alle “Fate Ignoranti”, che usciva subito dopo il primo Pride nazionale di Roma e il grande Giubileo del 2000, destando scandalo e successo e riconoscimenti ma anche certificando una nuova Roma che usciva dai cantieri, la Roma tanto rimpianta del sindaco Rutelli, lanciando anche un quartiere, quello dell’Ostiense con il gasometro che poi diventò grazie a quel film “igonigo”. Lì c’erano tutti in nuce gli ingredienti quasi algoritmici dei film di Ozpetek: ampia terrazza a livello; tanto cibo a km zero; gruppo di amici multiforme; Mina obbligatoria; due figure di omosessuali, di cui quello meno palesemente omosessuale e possibilmente bisex generalmente se la cava meglio. Qualche cantatina d’opera (qui un pizzico di Traviata, qb).
Adesso, al quindicesimo film, giustamente si sarà stufato come quei cantanti chiamati a cantare sempre la stessa canzone, dopo aver messo in scena storie inclusive in setting che coprono l’intera penisola, seguendo e anticipando anche mode e tendenze: come dimenticare “Mine Vaganti”, del 2010, storia di una dinastia di pastai con non uno ma ben due eredi omosessuali, che riscosse enorme e meritato successo, anche in concomitanza col momento di trapasso della Puglia nel pieno della trasformazione da impresentabile land of Lino Banfi a terra di pizzica, grani antichi, calda luce di Lecce, masserie di architetti milanesi con il Cy Twombly in salone, trulli e Borgo Egnazia con piscina a sfioro. Poi la “Napoli velata” che già nel 2017 tra stormi di feminielli celebrava la ex capitalona borbonica non ancora definitivamente assurta a nostro Messico domestico con una filmografia sterminata (da “Mare Fuori” a un doppio Sorrentino, a Martone, e poi panini con mollica e senza, tiktoker di fama internazionale, e cambio di paradigma nella percezione anche di sicurezza visto che nel frattempo tutti i ladri di orologi si sono trasferiti a Milano).
Oggi in concomitanza con il nuovo Giubileo Özpetek torna a Roma ma in un tuffo nel passato, e rigorosamente senza gay, e però qui l’effetto è un po’ stonato, tipo quando è troppo e quando è niente, tra tutti questi abiti di scena e attrici e anche un sacco di maschioni però adibiti a fornitori, tutti rigorosamente eterosessuali (chi ha frequentato un po’ queste sartorie non ci si ritrova molto). I suddetti maschioni sono anche un po’ molestati da queste femmine padrone di sé, capeggiate dall’eccellente Luisa Ranieri che già in “Nuovo Olimpo” faceva la cassiera dal cuor d’oro. Qui in “Diamanti” non mancano solo gli omosessuali ma anche la terrazza, sostituita da un giardino a piano terra (segnerà una moda urbanistica ancora una volta?). Per fortuna a tranquillizzare lo spettatore che temesse d’aver sbagliato sala, non ritrovando nemmeno la turca dai capelli azzurri, secondo l’implacabile l’algoritmo ozpetekiano, al minuto 24 ecco risuonare Mina. Che poi torna dopo un’ora e poi ancora dopo un’ora e mezza: a certificare che siamo pur sempre in un film di Özpetek. Ma dopo tutte queste cantate e magnate tra ragazze, le “13 teglie di lasagne”, le caramelle Rossana e i caffè di zia Mara, dopo tutto questo Özpetek ci vorrebbe piuttosto una buona dose di Ozempic.