non morto e scontento
"Nosferatu" di Eggers mette in scena un vampiro che fatica a godersi le sue conquiste
Nel nuovo adattamento del mito di Dracula, il conte Orlok è sempre arrabbiato, non ride mai, il ghigno malefico dell'originale non lo sfiora. Un ritratto nuovo e originale del desiderio vampiresco, per il nostro tempo segnato dal tramonto della libido
Questo conte è una sinfonia (dell’orrore), “e invece ’sto conte ’sto c…”. Ma c’è poco da citare “Boris” con l’originale “Nosferatu” – che nel ’22 era appunto “eine Symphonie des Grauens” – perché questo conte Orlok non ride mai. Non diciamo sorride, perché un vampiro casomai sghignazza, o si pronuncia in una risata malefica. Ma il mostro nell’ultimo film di Robert Eggers non fa nemmeno questo. Anzi, è sempre contrariato, è sempre arrabbiato. Dettaglio non da poco per un personaggio che è in grado di esercitare un grande potere, e che in questa particolare veste del mito del non-morto succhia-sangue sembra non incontrare assolutamente nessun limite alla sua oscura volontà, almeno fino al tragico epilogo. Ma il suo broncio difficilmente si spiega secondo una lettura che va forte fra i commentatori social, i quali, per elogiare o per smontare il film, riconoscono un vampiro del tutto disumano. Finalmente, dicono gli entusiasti – e sono quelli a cui non aveva garbato “Dracula di Bram Stoker” di Coppola: con protagonista un non-morto ultimo romantico, in cerca del vero amore attraverso i secoli, di fatto il vero “buono” della storia. Purtroppo, dicono i detrattori – e sono quelli che provavano umana pietà per il Dracula del “Nosferatu” di mezzo, quello di Herzog, un principe della notte disperato e terribile.
Non è chiaro in che modo l’umano possa partorire l’assolutamente disumano, e invece è chiarissimo che anche questa volta il vampiro serve a incarnare uno dei lati oscuri del desiderio. Lo dice lui alla povera Ellen Hutter/Lily-Rose Depp: “I am an appetite, nothing more”, ed è una conferma dell’origine umana della sua natura, non una smentita – a meno di non ritenere l’uomo essenzialmente fatto di logos. Per questo non convince neanche la lettura del film come un’allegoria del conflitto fra scienza e che cosa? Tutto ciò che la scienza non può spiegare? Sciocchezze. Come una sciocchezza è quella che dice il personaggio di Von Franz, l’occultista, colui che dovrebbe custodire il mondo degli spiriti dall’invasione del sapere medico e medicalizzante, per cui il vampiro sarebbe “una presenza metafisica più potente del male stesso”. Ma cosa significa?
No, il conte Orlok è una proiezione del desiderio di Ellen. E’ lei che lo evoca, e ha i suoi buoni motivi, visto che suo marito, pregato di tornare a letto, rifiuta perché deve andare a vendere immobili. E questa non è una novità rispetto alle tante facce di Nosferatu conosciute finora. Ciò che cambia è che questo vampiro non sembra per niente contento di essere evocato dal mondo dei morti. Un vampiro non meno pigro dell’uomo che è chiamato a sostituire – anche se al marito Ellen rinfaccia: “Non potresti mai soddisfarmi come lui”. Sarà anche prestante, ma Orlok non ride mai, non lo deforma nemmeno il ghigno beffardo che pure aveva in faccia il conte nel romanzo di Stoker. E’ un vampiro crudele, ma non sadico. Tanto meno edonista. Non gode mai. Questo sì che è un ritratto del desiderio (vampiresco) nuovo, talmente avviluppato nella coazione a ripetere da dimenticare persino di compiacersi del sangue succhiato – e della ragazza rubata.
Le interpretazioni sociologiche dei romanzi e dei film spesso annoiano. Ma forse non è un caso che il “Nosferatu” di Eggers si distingua in questo modo dal “Dracula” originale, in un tempo, il nostro, che viene così tanto raccontato sotto la luce del tramonto della libido. Umana pietà, questo mostro non la suscita di certo. Ma forse un po’ di riconoscimento per la fatica del sesso, e per il broncio perenne, questo sì. Ne risulta un film di una cupezza opprimente. Allo spettatore il giudizio se questa è la storia di vampiri che vuol sentirsi raccontare.