Foto LaPresse

Premio oscar

Nomination tutte azzeccate, dalla A di “Anora” alla S di “Substance”. Due turbamenti per Trump

Mariarosa Mancuso

Fra i candidati all'Oscar ci sono tutti ottimi titoli, insieme ad alcune grane per il nuovo presidente degli Stati Uniti: il musical “Emilia Pérez”, la cui protagonista (trans) è candidata come migliore attrice. Ma anche il film biografico sulle origini del tycoon e ai suoi rapporti con l'oscuro faccendiere Roy Cohn

Ci sono tutti. Tranne “Better Man”, il film dove Robbie Williams ha la testa e il corpo di scimpanzé e fa il bagnetto nella tinozza (e si lamenta con la nonna perché non sa neanche dare un calcio al pallone, fino a quando diventa ricco e famoso, sempre un po’ depresso). Solo una candidatura per gli effetti visivi. C’entra, forse, un battibecco sulla colonna sonora, non del tutto originale come pretendono le regole degli Oscar.    

 

           

 

Gli altri nostri preferiti ci sono tutti, nella lista dei candidati Oscar al miglior film. In ordine alfabetico. A come “Anora” di Sean Baker, storia d’amore a Brighton Beach contrastata dalla mafia russa (lei fa la spogliarellista). B come “The Brutalist” di Brady Corbet, l’architetto fuggito dall’Ungheria che costruisce in rude cemento. C come “A Complete Unknown” di James Mangold: il giovane Bob Dylan che da Duluth, Minnesota, arriva al Greenwich Village per conoscere il suo idolo Woody Guthrie (farà molto altro, fino alla “svolta elettrica”). 

“Conclave” e “Dune” li saltiamo (uno troppo vecchia maniera, i cardinali che brigano per il nuovo Papa; l’altro perché è uno spreco di bravura attorno a certi vermi giganti). Andiamo alla E di “Emilia Pérez” magnifico musical di Jacques Audiard su un boss messicano della droga, con il dente d’oro, che decide di cambiare sesso. Via il dente d’oro, e via – in una clinica privatissima e segreta – il resto che fa da ostacolo. Fa perdere le sua tracce, rinuncia ai bambini e nasce Emilia Pérez. Che trans è davvero, si chiama Karla Sofía Gascón, candidata come migliore attrice. Il presidente Trump, ora al suo secondo giro, ha già Hollywood in poca simpatia. Questo è il primo dispiacere che gli arriva dagli Oscar. Ma è un film diretto da un francese, gente che mangia le rane (a proposito: che ci fanno i film non made in Usa fuori dal loro ghetto? Ci fanno che sono bellissimi). 

Placato il primo turbamento, arriva il secondo: “The Apprentice - Alle origini di Trump”, diretto da Ali Abbasi, iraniano naturalizzato danese. Alle origini vuol dire che il giovane Trump andava a riscuotere gli affitti (bloccati) in periferia e puntava al centro di Manhattan. Controllandosi il ciuffo ogni volta che poteva: vetrine, specchietti retrovisori, bagni degli hotel di lusso. Candidati l’attore protagonista Sebastian Stan (con il ciuffo), e Jeremy Strong (non protagonista): la sua anima nera, avvocato e spicciafaccende Roy Cohn.

 

                     

 

Torniamo alla lista dei film candidati, alla S c’è “Substance” di Coralie Fargeat con Demi Moore: il siero magico che a 50 anni (piuttosto tonici) ti trasforma – a giorni alterni – in una ventenne (più tonica) come Margaret Qualley. Purtroppo non abbiamo visto “Nickel Boys” – dal romanzo “I ragazzi della Nickel”, tremenda scuola per ragazzini americani poveri (hanno scavato in cortile, anni dopo trovando molti cadaveri: il romanzo è di Colson Whitehead, il regista RaMell Ross). “Wicked” è già stato ampiamente celebrato e criticato: perché la cattiva è verdastra e la buona tutta rosa confetto? “I’m Still Here” di Walter Salles è un bel film  sulle famiglie dei desaparecidos.

Questa settimana esce nelle sale “A Complete Unknown”. Timothée Chalamet canta, suona l’armonica, veste come Bob Dylan. Imperdibile, come “Better Man” di Michael Gracey che probabilmente vi siete già perso. “Vermiglio” di Maura Delpero ha mancato la cinquina del miglior film straniero, ma obiettivamente era difficile, vista la strepitosa concorrenza. Il disegno animato “Flow”, muto e proveniente dalla Lettonia. E il tedesco-iraniano “Il seme del fico sacro”. Il regista Mohammad Rasoulof è riuscito a fuggire dall’Iran, condannato a otto anni di carcere e alla fustigazione.
 

Di più su questi argomenti: