Perché vedere "A complete unknown", il biopic su Bob Dylan candidato agli Oscar

La recensione della pellicola di James Mangold, con Timothée Chalamet, Monica Barbaro, Elle Fanning. Un film bellissimo, da vedere in originale

Mariarosa Mancuso

I dylaniani erano pronti con il fucile puntato. Gli odiatori di Timothée Chalamet il fucile lo avevano già caricato qualche film fa (noi no, lo abbiamo amato dalla particina in “Lady Bird” di Greta Gerwig: belloccio, di mondo, sgarbato con la ragazza di provincia). Armi cariche di pregiudizi senza una ragione, se non l’impulso irresistibile di non riconoscere il talento altrui, e di venerare il Bob Dylan che non è andato a prendersi il Nobel a Stoccolma (capaci pure di deplorare “la svolta elettrica” come il pubblico del festival folk di Newport, estate 1965).

Detto questo, “A complete Unknown” è un film bellissimo, da vedere in originale, con Timothée Chalamet perfetto nel personaggio. Canta, suona la chitarra e l’armonica a bocca, duetta con la fidanzata a fasi alterne Joan Baez, che era già famosa, in “It Ain’t Me Babe”. Una versione fiammeggiante di sguardi d’odio, di due che si sono forse amati molto, ma ora tutto è inacidito, e ognuno vuole essere quello che sta cacciando via l’altro “chi stai cercando non sono io”. Dalle quinte, l’altra morosa Elle Fanning piange e se ne va. Bob Dylan stava per lasciare il folk e il personaggio del menestrello, dopo i fischi sfreccia via in sella alla motocicletta senza salutare nessuno. Neanche Pete Seeger, che lo aveva accolto al Greenwich Village.

Un modello per i biopic futuri: non c’è bisogno delle somiglianze alla “Tale e quale show” né delle imitazioni per fare un gran film.