L'attrice Adriana Paz alla conferenza stampa del film "Emilia Pérez" (Ansa) 

impresentabili

Emilia Pérez & gli altri: oggi non tutti i film vincitori di Oscar passerebbero l'esame

Mariarosa Mancuso

Green Book, American Beauty e Crash, criticati per stereotipi e messaggi problematici, sarebbero riconsiderati. Anora di Sean Baker è la possibile scelta sicura di quest'anno

Caduto rovinosamente dal piedistallo “Emilia Pérez” di Jacques Audiard – tweet offensivi, Messico da canzonetta, presunte scaramucce con l’attrice brasiliana rivale Fernanda Torres – l’Independent ricorda che non tutti i film vincitori di Oscar nel passato passerebbero oggi l’esame. Per inciso, prima di continuare: spiace per il musical “messicano” perché è un bel film, perché i detrattori son convinti di aver fatto cosa buona e santa a difesa del popolo Lgbtq e seguenti. Sappiano che non capiterà un’altra volta – e che esistono i generi cinematografici: il melodramma si può fare anche con i cactus di cartone. 

Primo della lista dell’Independent, e bisogna aggiungere che era un film davvero brutto, “Green Book” di Peter Farrelly. Il pianista nero Mahershala Ali, ricco e di successo, per una una tournée nel profondo sud degli Stati Uniti (anno 1962) arruola come autista il bianco italoamericano Viggo Mortensen. Il nero può suonare nei club, ma non lo fanno mangiare al ristorante. Secondo l’azzeccata formula di Spike Lee, abbiamo un caso plateale di “Magical Negro”: il personaggio nero che esiste nel film solo perché un bianco deve ravvedersi. Altra e superiore qualità (cinematografica) per “Dallas Buyers Club”. Ricordiamo soprattutto la trasformazione di Matthew McConaughey in un malato di Aids magro e emaciato. Mette insieme un gruppo d’acquisto per procurare farmaci non ancora approvati dalla Food and Drugs Administration. Cosa non va? Il fatto che Jared Leto abbia la parte di un trans non essendo trans – e anche qui, per redimere Matthew McConaughey dai suoi pregiudizi. Difetto che il film “Emilia Pérez” non aveva. 


Saltiamo Woody Allen. “Io e Annie” ha vinto quattro Oscar, e a memoria pare inappuntabile (o vogliamo censurare Diane Keaton per le sue cravatte e i gilet da uomo?). Sta nella lista per via delle disavventure giudiziarie, e per fortuna non si ricorda più che in “Manhattan” Woody voleva mettere sotto con l’automobile l’ex moglie lesbica Meryl Streep e la sua nuova fiamma. Per “American Beauty”, miglior film agli Oscar 2000, furono premiati il regista Sam Mendes, lo sceneggiatore Alan Ball e Kevin Spacey. L’attore cadde in disgrazia per certe presunte molestie mai accertate in tribunale. Ma la brillante carriera ebbe una brusca interruzione, per risarcimento dovrebbero scritturarlo ovunque – ma i registi, come tutti, ricordano l’accusa ma non l’assoluzione. 

“Crash” per esempio era un altro film indegno di Oscar, diretto da Paul Harris che allora era ancora membro convinto di Scientology (pure Tom Cruise lo è, o perlomeno lo è stato, ma si nota meno). Pieno fino a scoppiare di lezioncine morali. Nel 2009, cinque anni dopo l’Oscar, fu inserito tra i peggiori film del decennio. Secondo lo scrittore Ta-Nehisi Coates: “Nel film non c’è un solo essere umano, solo ideologia e propaganda in guerra tra loro: “Ciao, sono un ladro di auto, molto dispiaciuto perché mi trattano come uno stereotipo”. Nella lista, anche “Forrest Gump” (per le molte disgrazie scaricate addosso a Jenny) e “Via col vento” (“badroncina mia”).

Ma forse quest’anno c’è un modo per cavarsela. Premiare con la massima statuetta il bellissimo “Anora” di Sean Baker, che non ha mai sbagliato un film (magari non li avete visti, ma noi li abbiamo puntualmente consigliati). La protagonista è bianca, fa la lap dance in un locale. Sul lavoro incontra un giovanotto – bianco bello e anche ricco, scopriamo poi – che si innamora e vuol fare di lei una donna onesta. Vanno a Las Vegas, si sposano e sono felici. Finché spuntano i parenti di lui, dalla Russia con furore. Oligarchi, con guardie del corpo, contrarissimi al matrimonio.
 

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