"La città proibita". Tante mosse audaci, tutte ben giocate

Mariarosa Mancuso

Gabriele Mainetti ha vinto la sua scommessa, dopo lo strepitoso “Jeeg Robot” e il colossal “Freaks Out”. La recensione del nuovo film con Yaxi Liu, Sabrina Ferilli, Marco Giallini, Enrico Borello

Cina. Lezione di kung fu a due bambine (una molto più portata). Cresciuta, una delle due ragazze combatte, stavolta per davvero, in un sotterraneo e poi nella cucina di un ristorante cinese. Calci in aria, qualche pentolata, liquidi scivolosi, tutto è rovente, pieno di coltelli e machete, e tutto può far male. Fuori dalla cucina, c’è Roma. Piazza Vittorio smagliante di colori e bancarelle. Gabriele Mainetti ha vinto la sua scommessa, dopo lo strepitoso “Jeeg Robot” e il colossal “Freaks Out” (idea splendida che non ha avuto quel che meritava: il pubblico e un produttore intelligente che tagliasse qualche mitragliatrice). La ragazza cinese cerca la sorella, arrivata a Roma e finita in un brutto giro, facendo perdere le sue tracce. Pochi sono i momenti tranquilli. E quei pochi sono quasi sempre strazianti (per atmosfera e per intonazione incerta). Tristi e nostalgici come il piccolo boss locale Marco Giallini che suona la pianola e canta, in mutande e calze jacquard da mercatino davanti a una platea immaginaria. Finge gli applausi, potete calcolare con buona approssimazione il carico depressivo della scena. Le sorelle erano molto legate, pur con qualche rancore: in Cina vigeva la politica del figlio unico, quello in sovrannumero doveva nascondersi. Mei fa le sue indagini usando il traduttore del cellulare. Vede Roma solo verso la fine del film, girando sulla moto del pizzaiolo. Tante mosse audaci, tutte ben giocate.

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