"Lee Miller", perché vedere il film sulla fotografa di guerra

La recensione del film di Ellen Kuras, con Kate Winslet, Andrea Riseborough, Josh O’Connor, Alexander Skarsgård

Prima scena. Seduti in salotto il giornalista con il taccuino e l’intervistata con il bicchiere. Annoiata, nella sua casa del Sussex, sostiene di non aver nulla da dire. Siccome si chiama Lee Miller, è una pietosa bugia, dettata dalla voglia di scomparire. Il fotografo insiste, chiacchierano, intanto vediamo qualche immagine della vita di Lee, che a vent’anni aveva fatto con successo la fotomodella a New York. Poi si era trasferita a Parigi, dove era passata dall’altra parte dell’obiettivo, fidanzandosi con Man Ray e poi sposando Roland Penrose. Storico e poeta, ma soprattutto gran collezionista d’arte moderna – nonché fondatore del movimento surrealista britannico. I due si conoscono durante un pranzo all’aperto, anche questo messo in scena con occhio artistico e un paio di ragazze nude. E’ amore a prima vista, partono per Londra, ma intanto Hitler ha preso il potere. Lee Miller lavora per Vogue, e vuole andare al fronte – non ritrarre le mutande stese a asciugare, che tanto scandalizzano Cecil Beaton. Vuole fare la fotografa di guerra, ma le regole dell’esercito britannico lo proibiscono. Quelle dell’esercito americano no, ma riducono parecchio i movimenti. Le fanno pilotare questo?, chiede a una ragazza con la divisa da aviatrice. “Sì, ma solo da una piazzola all’altra”. Alla fine ce la fa, e l’avvertono: “Scriva il suo necrologio prima di partire”. Intanto il marito, a casa, prepara tessuti stampati camouflage per i soldati al fronte.
 

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