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POPCORN
Guardiani della virtù al cinema? No, grazie
Dal rifiuto di Gwyneth Paltrow fino a quello di Mikey Madison in “Anora”. Sono tempi duri per gli “intimacy coordinator”, incaricati di mettere a proprio agio gli attori sul set in caso di scene di sesso
Tira una brutta aria per gli “intimacy coordinator”. Gli specialisti – come altro chiamarli? esperti? controllori? – che dovrebbero, prima e durante le scene di sesso, parlare con gli attori sul set, chiedere se sono a proprio agio, provvedere a che lo siano, intervenire se succede qualcosa di non previsto. Per esempio, se sul copione c’è scritto “underboob”, o anche “upperboob” – ma questa è una normale scollatura mentre l’underboob lascia scoperta la mezza tetta di sotto – è vietato mostrare il capezzolo, che pure starebbe in mezzo al boob.
“I guardiani della virtù”, ironizza Mia Hansen-Løve che è francese, anzi parigina, e di censura non vuole sentir parlare. Emma Stone (nata a Scottsdale, Arizona) e Karyn Kusama, nata a Brooklyn da una famiglia di origine giapponese, hanno invece molto ringraziato gli intimacy coordinator: “Grazie di esistere, grazie per aver creato spazi sicuri dal punto di vista emotivo e fisico, e per aver segnato confini precisi tra il lavoro e lo sfruttamento sessuale”.
Entra a gamba tesa Gwyneth Paltrow, in previsione del suo ritorno sul set con “Marty Supreme”, diretto dai fratelli Safdie. Già, va detto, gira su internet la scena di qualche bacio. Ma sono soprattutto le dichiarazioni dell’attrice, sulla gran quantità di sesso fatto sul set con Timothée Chalamet, a lanciare il petardo. Sui vigilanti della virtù (che, fateci caso, è sempre sessuale, per il resto ognuno se la vede con la coscienza sua) l’attrice dichiara: “Magari può essere necessario con i minorenni. Ma se qualcuno dicesse, a me che sono adulta, ‘metti la mano qui, metti la mano là’, come artista mi sentirei soffocare”. Poi aggiunge la dichiarazione dello scandalo: “Ai miei tempi ci si spogliava, ci si infilava a letto, e la macchina da presa cominciava a girare”.
Non è l’unica. Daniel Craig e Drew Starkey avevano il loro coreografo – diciamo così – in “Queer” di Luca Guadagnino (nei cinema italiani dal prossimo 17 aprile, dopo tanti annunci speriamo sia la volta buona: è davvero un gran film). Due maschi, e si sa che la donna nuda è arte, il maschio nudo è pornografia (una delle tante cretinate messe in giro dai maschi, bisognerebbe farlo notare più spesso). “Siamo due attori adulti, sapevamo cosa volevamo ottenere, e c’era il regista a guidarci”. A giudicare dal film, c’è tutto il sesso e la tensione sessuale che serve, come nel romanzo di William Burroughs che nella vecchia edizione Adelphi del 1998 si intitolava “Checca”.
“Anora” di Sean Baker non ha avuto i suoi guardiani della decenza. Non li ha voluti l’attrice Mikey Madison (dando origine a stupidi pettegolezzi). Halina Reijn, che ha scritto e diretto “Babygirl”, celebra il coordinatore che le ha consentito di osare scene rischiose. Peccato che gli spettatori non se ne siano accorti.