L'Inter è un caso di psicopatologia della vita calcistica
Per centrare la Champions League ai nerazzurri non resta che lo spareggio a Roma, contro la Lazio. E i precedenti non portano bene
L’estensore di queste brevi note “cinesi”, al pari di un suo predecessore rubrichista che scriveva un tempo di “Zeru tituli” è persino stanco di affrontare l’argomento. La Banda Bauscia, altrimenti detta con Brera la Beneamata, insomma l’Inter, la squadra dei colori della notte, non è un oggetto sportivo. E’ un caso di psicopatologia della vita calcistica. Chiunque arrivi, manager allenatore o giocatore, dopo un po’ sbrocca. L’unico dubbio, e l’estensore lo aveva profetizzato a inizio campionato, riguardo al prode Spalletti, il nostro Sun Tzu, non era tecnico ma di tenuta psichica, una volta immerso nella (ir)realtà nerazzurra. Con la Gobba, uscì pazzo lui e sappiamo come è andata. Col Sassuolo (zero punti in due partite) la psicopatologia ha colpito i suoi ragazzi. Entrati in campo male, e dopo dieci minuti era già chiaro che avevano i nervi in tilt, la muffa nelle gambe e nella testa, la paura e l’ansia da prestazione come unici punti di riferimento in campo. Dopo venti minuti erano sotto di un gol, nella partita che valeva la stagione contro un avversario satollo e tranquillo come dopo una gita in campagna. Persino Milan Škriniar, The New Wall, si è messo a saltare in barriera come un ubriaco al Carnevale di Rio. Maurito e tutti gli altri hanno sbagliato l’inverosimile, attacco e difesa, ma non poteva essere diversamente: era il demone della follia che aveva preso il comando delle operazioni. Così adesso non resta che lo spareggio a Roma, contro la Lazio. E non sarò io a ricordare che le gite di maggio a Roma contro la Lazio sono il più devastante esempio di disastro psicopatologico che la storia della Beneamata ricordi. Per fortuna che c’è Walter Zenga. Santo subito.
Il Foglio sportivo - in corpore sano