La patafisica di Spalletti
Domenica, dopo aver acciuffato più per sbaglio che per caso un ingresso in Champions, l'allenatore dell'Inter ha tirato fuori la sua personale visione del mondo
La patafisica, quando non è perniciosa, è meravigliosa. Per spiegarci meglio. Se diventa (come diventa) la teoria economico-istituzionale del governo, è perniciosa. Se si limita a essere la filosofia di vita, o l’arzigogolo narrativo (apri sempre una parentesi, non chiuderla mai) di un allenatore di calcio, può essere meravigliosa. Prendete Luciano Spalletti, lo Sun Tzu di questa prima annata totalmente cinese della Banda Bauscia. In tempi non sospetti, un rubrichista fogliante lo chiamava il Patafisico di Certaldo. Perché Filosofo no, filosofo proprio no. Sebbene il Filosofo che resterà per sempre nei cuori nerazzurri quest’anno abbia rimediato il “titulo” maledetto, che non nomineremo. Ma il Patafisico, ha un modo di affrontare la gara e la vita che ha un suo perché, ha un suo filo sottile. Così domenica sera, dopo aver salvato con due cambi quegli undici tremebondi casinisti in campo, e aver acciuffato più per sbaglio che per caso un ingresso in Champions festeggiato come una Champions, Luciano Spalletti ha tirato fuori questa sua personale visione del mondo. La sua patafisica. E’ corso sotto la zona dei tifosi a gridare “è per voi, è vostra!”, manco stesse davvero porgendo l’anfora dalle grandi orecchie. Poi s’è eclissato dai microfoni e dalle telecamere: stasera non parlo io. E ha lasciato parlare quei birboni, compreso Ranocchione il Buono, e ha lasciato il palcoscenico a loro. Ma siccome patafisico sì, ma di quattrini la sa lunga come un toscano verace, il prato l’ha lasciato anche a Steven, al giovane Zhang. Che è disceso giù, tra quegli strani esseri in mutande e sudati, e per una volta è sembrato umano, e piangeva e rideva, dalla commozione anche lui. Probabilmente, gli avevano spiegato che la sua squadra ha vinto.
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