Gli scricchiolii del miracolo asiatico secondo Zingales
Luigi Zingales non può essere accusato di pessimismo cronico, visto che tra qualche settimana uscirà in America un suo libro – intitolato “Un capitalismo per il popolo” – nel quale avanza proposte per resuscitare il “genio” americano che crea “prosperità”. Eppure, come emerge dai documenti sui quali ha basato il suo intervento a Cernobbio e che il Foglio ha letto, sulle sorti del miracolo asiatico è dubbioso.
Sul futuro di Tokyo, per esempio, Zingales ripete quello che dice un suo collega: “Sapete qual è la differenza tra il Giappone e la Grecia? Qualche anno”. E “non è una battuta”, precisa subito dopo. Statistiche e grafici analizzati dall'editorialista del Sole 24 Ore spingono a non farsi ingannare dai bassissimi rendimenti offerti oggi dai bond giapponesi. In Giappone il rapporto debito/pil, per esempio, dal 1990 a oggi è cresciuto in maniera molto più rapida che in qualsiasi altro paese industrializzato (Italia inclusa). Poi c'è il tasso di crescita discendende dagli anni 50 a oggi.
Fino al 1973 il pil nipponico è cresciuto a un ritmo annuo del 9,2 per cento, dal 1974 al 1990 la media si è abbassata al 3,8 per cento, e dal 1991 ai primi anni 2000 all'1,3 per cento. Ancora più preoccupante, secondo Zingales, è il fatto che la demografia remi decisamente contro lo sviluppo giapponese. Se è vero che la crescita del pil è spiegata dal combinato disposto di tre fattori (crescita della popolazione, del tasso di partecipazione della forza lavoro e della produttività individuale), l'economista di Chicago osserva che, dagli anni Sessanta a oggi, tutti questi valori in Giappone sono crollati. L'aumento della popolazione si è praticamente azzerato (dall'1 per cento annuo a 0,02 per cento), idem per l'incremento del tasso di partecipazione della forza lavoro (dall'1,03 per cento annuo a meno 0,49 per cento) e la crescita della produttività (passata dal 7,77 per cento del 1955-1970 all'1,34 per cento nel 2000-2010). Oggi, inoltre, sta per andare in pensione un'enorme schiera di ex giovani che iniziò a entrare nel mercato del lavoro negli anni 50 e 60. Il problema è che statisticamente il tasso di risparmio dei cittadini raggiunge il picco a 60 anni, poi non fa che calare. Nel momento in cui questa fascia di popolazione andrà in pensione e smetterà di risparmiare – è il ragionamento di Zingales – il Giappone dovrà rivolgersi ai mercati internazionali per finanziare il suo enorme debito pubblico. E allora saranno guai, non solo per Tokyo: “La sua crisi non potrà che avere un impatto internazionale”.
La demografia dovrebbe allarmare anche Pechino, il cui miracolo economico finirà (“non è questione di ‘se' ma di ‘quando'”), visto che il “favoloso” aumento di produttività dovuto al trasferimento di forza lavoro dall'agricoltura all'industria si sta già esaurendo. Non solo: secondo l'economista di Chicago, l'ex impero celeste deve confrontarsi con un tasso di risparmio troppo elevato (dovuto a salari bassi e a imprese statali non efficienti), con un settore finanziario disastrato e che a differenza del settore manifatturiero non è abituato a stare sul mercato. Oggi, insomma, Monti e l'Italia sono rassicurati da Tokyo e Pechino, ma presto l'Europa potrebbe scoprire che la mano tesa dall'Asia è troppo debole.