"Sei mesi e poi caos sociale". Il calcolo di Erik Jones

Marco Valerio Lo Prete

    “Finora l'uomo europeo della strada ha reagito piuttosto bene all'aggravarsi della situazione economica – dice al Foglio Erik Jones, docente di Studi europei e direttore del Bologna Institute for Policy Research della Johns Hopkins University, dal 1990 nel nostro continente per studiare in maniera comparata le politiche dei paesi dell'Ue – se consideriamo ‘stoicismo' e ‘isterismo' come i due atteggiamenti estremi, l'europeo finora è stato più stoico che altro”. Specie se si considera “la massima indecisione dimostrata dalle leadership, con il continuo oscillare tra un vertice Ue e l'altro”. Ora però qualcosa sta cambiando, spiega Jones, a partire dai paesi che si affacciano sul Mediterraneo: oltre alle manifestazione violente in Grecia, negli ultimi giorni ci sono stati lo sciopero generale e le proteste in decine di città spagnole contro le riforme decise dal premier Mariano Rajoy, poi ci sono i segnali discordanti in arrivo dall'Italia: “Ho grande rispetto per Mario Monti e la sua squadra, però è indubbio che la popolarità dell'esecutivo tecnico stia diminuendo”. Da considerare anche l'atteggiamento dei partiti, che torna a farsi rissoso agli occhi dell'osservatore esterno, come pure il ricorso a gesti estremi (come il suicidio) da parte di alcuni imprenditori e lavoratori.

    Jones riconosce di non avere in mano né un modello matematico né una sfera di cristallo, ma azzarda una previsione in base alla “regola dei 18 mesi”: “L'opinione pubblica accetta come necessarie alcune riforme e pare disposta ad avere svantaggi nel breve termine per guadagnare nel lungo termine. Questa situazione dura da un anno in Spagna e Portogallo, da più tempo in Grecia e Irlanda, da meno tempo in Italia. Passeranno massimo altri sei mesi, poi ci saranno situazioni di caos sociale”.

    Ecco come funziona la “regola dei 18 mesi”
    secondo il professore della Johns Hopkins: “Subito dopo la caduta del comunismo in Europa dell'est, abbiamo imparato molto sulle reazioni della popolazione a fronte di profondi cambiamenti politici ed economici. Il ministro polacco delle Finanze di allora, Leszek Balcerowicz, parlò di logica della ‘politica straordinaria'. Disse di avere soltanto una finestra di tempo utile ad approvare riforme senza doverne pagare le conseguenze elettorali. Ebbe ragione: la Polonia è sopravvissuta, e bene, a una cura choc”. Secondo le statistiche di Jones, “il periodo durante il quale la popolazione mantiene una relativa calma a fronte di mutamenti drastici dura circa 18 mesi”.

    Dopo un anno e mezzo,
    sarà difficile spiegare che i sacrifici di oggi saranno compensati da un futuro migliore domani. In Grecia è andata così, Spagna e Portogallo hanno ancora davanti a sé sei mesi di “politica straordinaria”, l'Italia poco di più. “Poi i capovolgimenti elettorali saranno sistematici, le proteste più diffuse e violente”. Ma perlomeno le scelte di politica economica compiute in questa fase, ispirate al rigore fiscale made in Deutschland, sono le scelte giuste? Il ragionamento di Jones è duplice. Da una parte riconosce che molte delle riforme in corso “sono positive” e “necessarie al di là della crisi. Dalle pensioni al lavoro, i cambiamenti sono imposti dalla rivoluzione demografica in corso in Europa”. Detto ciò, “è illusorio pensare che questo risolva il problema della disoccupazione crescente, specie giovanile”. A questo proposito Jones ritiene “eccessiva e pericolosa l'austerity che si irradia da Berlino” e avverte: “Il caos sociale investirà anche Bruxelles. Già oggi, per la prima volta secondo l'ultimo Eurobarometro, l'opinione pubblica del continente ha meno fiducia dell'Ue nel suo complesso che delle sue singole istituzioni come Parlamento, Commissione, etc. Ciò vuol dire che il cosiddetto ‘vincolo esterno', che ha giocato un ruolo fondamentale per esempio in Italia per far avanzare alcune riforme decisive, sta perdendo ogni legittimità”.