Giarda mani di forbice
Meno spese uguale meno tasse: il governo ora si dice convinto della nota equazione sviluppista, a patto però – specificano i tecnici – che anche le regioni facciano la loro parte, cominciando con la limatura della spesa sanitaria
Meno spese uguale meno tasse: il governo ora si dice convinto della nota equazione sviluppista, a patto però – specificano i tecnici – che anche le regioni facciano la loro parte, cominciando con la limatura della spesa sanitaria. "L'unica vera opzione strategica è capire se si riescono ad attaccare dinamiche di spesa pubblica per restituire una parte al sistema economico", ha detto ieri Piero Giarda, ministro per i Rapporti con il Parlamento, durante un'audizione sulla spending review nelle commissioni Bilancio di Senato e Camera. In altre parole: "La riduzione delle tasse" dev'essere "compensata con la riduzione delle spese, euro per euro". Lo stesso Giarda non ha risparmiato frecciatine ai parlamentari (ha corretto per esempio il presidente della commissione Bilancio della Camera, il leghista Giancarlo Giorgetti, a proposito dell'entità di alcuni sprechi, chiosando così: "Le è andata male"), ma poi ha sferzato soprattutto i governatori e le loro giunte: "Dietro la spesa sanitaria, governata dalle regioni, c'è una struttura politica forte e interessi coalizzati dell'industria dei farmaci e delle attrezzature". "Un mix di elementi non banale", ha aggiunto il ministro, che spiega il "rilevantissimo" calo della spesa per istruzione negli ultimi 20 anni a fronte di un aumento "molto rilevante" della spesa per sanità e protezione sociale. Questo spostamento di risorse, per di più, è avvenuto senza nessuna "decisione formale" da parte di Parlamento o governo.
Una prima replica è arrivata ieri mattina dalle regioni che, in un documento unitario indirizzato a Mario Monti, hanno lamentato lo scarso coinvolgimento da parte dell'esecutivo e hanno dichiarato di avere già pagato più di ogni altro il risanamento dei conti pubblici. Anche Assobiomedica, associazione confindustriale delle aziende che forniscono dispositivi medici, si schiera contro la scure anti spesa pubblica e definisce "fuori luogo" le parole di Giarda. Eppure i numeri dimostrano che il 40 per cento della spesa pubblica "aggredibile" è imputabile proprio a regioni e sanità (quest'ultima largamente intermediata dalle regioni). Sui 295 miliardi di euro di spesa pubblica che il governo pensa di poter aggredire nel medio periodo grazie alla spending review, infatti, 20,2 miliardi sono direttamente imputabili alle regioni e 97,6 appartengono al capitolo Sanità. Possibile che in questo calderone non siano realizzabili razionalizzazioni di sorta? Pur tenendo conto dell'invecchiamento demografico del paese, infatti, la spesa sanitaria è cresciuta negli ultimi anni: nel 1990 assorbiva il 32,3 per cento della spesa pubblica complessiva, mentre nel 2009 è salita al 37 per cento della spesa totale, dal 6,2 al 7,5 per cento del pil, a fronte di una caduta della quota di spesa per istruzione. Dalla fine degli anni 90, come documentato anche da Marcello Crivellini, docente di Analisi e organizzazione di sistemi sanitari al Politecnico di Milano e autore nel 2011 di "Sanità e salute" (FrancoAngeli), "la spesa dell'Italia per la sanità è cresciuta, ha raggiunto e superato la media Ue attuale, avvicinandosi a quella dei maggiori paesi europei". L'aumento di spesa è coinciso con il passaggio dei poteri in materia alle regioni, avvenuto con la riforma del 1992-93: tra nomine "politiche" dei direttori generali di Usl e Asl e sistemi di accreditamento sempre "provvisori", la Sanità "ha nei fatti preso il posto di quel grande settore delle Partecipazioni statali" della Prima Repubblica.
Senza invocare mondi ideali, il centro studi Cerm diretto dall'economista Fabio Pammolli ha stimato che se tutte le regioni rendessero il loro settore sanitario efficiente come quello dell'Umbria, si potrebbero liberare risorse pari allo 0,8 per cento del pil, ovvero un terzo di quanto ogni anno la Pubblica amministrazione dedica alla spesa in conto capitale. Il governo, d'altra parte, è consapevole che l'opinione pubblica, a differenza dei governi regionali, ritiene che una maggiore sostenibilità finanziaria dei sistemi sanitari sia possibile. Da ottenere come? Secondo una recente indagine Censis, il 56 per cento degli intervistati auspica maggiore "efficienza di strutture, servizi e personale", il 29 per cento propone addirittura "ticket più elevati in relazione al reddito".
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