Quando la Germania usava le buone, e l'Italia non ascoltava

Marco Valerio Lo Prete

Prima di dare la colpa all'austera Merkel, la classe politica italiana non ci deve dire qualcosa?

    Sono della tesi, pragmatica e non così originale, che Germania e resto d'Europa si debbano venire incontro per uscire dalla crisi, pena il fallimento dell'Unione europea come progetto politico ed ideale, prim'ancora che come Unione monetaria. Non occorre rinunciare al rigore fiscale - questo ce lo dobbiamo mettere in testa - né si deve allentare il ritmo delle riforme strutturali (poche in Italia finora, se si escludono le pensioni) ma allo stesso tempo in Europa ci si potrebbe accordare per rendere meno stringenti i vincoli temporali di questo obbligato tour de force riformatore. Detto ciò, prima di sbraitare contro l'inflessibile Angela Merkel, una domanda - per amore della verità, innanzitutto - ce la dovremmo porre noi italiani. In termini chiarissimi lo ha fatto Giovanni Ferri, economista di Bari e membro dell'Eba (l'Autorità bancaria europea) sul Foglio di sabato:

    Da luglio 2011 lo spread tra Btp decennali e analoghi Bund tedeschi è lievitato. A luglio raddoppiava a 400 punti base, per superare i 550 a novembre, prima dell'avvicendamento Berlusconi- Monti. Poi, la riduzione è stata pressoché univoca fino ai 280 punti base di metà marzo. Ma, da allora, è tornato a salire verso i 450 punti. Se perdurano, ogni 100 punti in più aggiungono circa 20 miliardi di euro di interessi al nostro debito pubblico, cioè una Finanziaria in più. (…) Però, c'è un però. Può un politico di lungo corso chiamarsi fuori? Dal 1990 al 1995, prima di avviarci all'euro, la media dello spread Btp-Bund era di 500 punti. Nessuno si lamentava perché, all'occorrenza, si poteva svalutare la lira, ridando competitività al made in Italy. Con l'euro quella possibilità non c'è più. Ma i vantaggi sono stati enormi: per quasi 15 anni, abbiamo pagato i tassi tedeschi, o quasi. Infatti, con l'avvento dell'euro lo spread quasi si azzerava e rimaneva assai basso fino alla prima metà del 2011. E, allora, quanti interessi sul debito ci ha risparmiato l'euro? Contando un calo prudenziale dello spread di 400 punti sul periodo pre-euro, si arriva almeno a 60 miliardi di minori interessi all'anno. In tutto, nel quindicennio di bonus “tedesco” sui tassi di interesse, si cumulano interessi risparmiati per circa 800 miliardi. Insomma, se avessimo usato il bonus tedesco per ridurre il debito pubblico oggi avremmo un rapporto debito pubblico/ pil al 70 per cento e non al 120. Ebbene, se siamo nell'occhio del ciclone e con alto spread non è per le difficoltà delle nostre banche (entrate in crisi l'anno scorso solo dopo che era salito lo spread) né per la bolla immobiliare (da noi i prezzi delle case sono saliti molto meno che in Spagna o Irlanda) bensì proprio perché il nostro debito pubblico è troppo alto. E, allora, un giorno qualcuno dovrà chiederne conto ai nostri politici, di destra e di sinistra: che cosa ci avete fatto col bonus tedesco? Credo che le risposte non saranno esaltanti né convincenti. (Giovanni Ferri, il Foglio, 19 maggio 2012)

    Una risposta "non esaltante", ma decisamente convincente, su che fine abbiano fatto quegli 800 miliardi di euro che abbiamo risparmiato grazie al fatto che la Germania per 15 anni ha utilizzato (solo) le buone, la offre Andrea Moro su NoiseFromAmeriKa:

    "Non solo il risparmio derivante dalla riduzione della spesa per interessi è stato interamente impiegato per aumentare la spesa primaria, ma in aggiunta a questo si è speso molto di più".

    Qui ci sono tutti i grafici da stampare e tenere a mente mentre si chiede a Berlino di non fare troppo la "cattiva".