Tutti invocano un'Unione più perfetta, Berlino (un po') meno

Marco Valerio Lo Prete

Dall'Ocse al Fmi, passando per analisti e opinione pubblica: l'Europa si integri o finisce male. Mediazione su project-bond e banche

    Dal Foglio di carta di oggi

    L'idea di mettere in comune i debiti degli stati europei – ha fatto sapere ieri Berlino – non sarà sul tavolo del vertice brussellese di stasera. Ma sotto il tavolo, a fianco del tavolo e fuori dalla stanza nella quale si riuniranno informalmente i capi di governo dell'Unione europea, gli Eurobond ci sono eccome. Mai come prima d'ora, infatti, si erano udite così chiaramente e tutte assieme le voci dei fautori di una maggiore integrazione fiscale (e non solo) tra gli stati membri. L'ultima istituzione in ordine di tempo a proporre una risposta coordinata per superare questa fase acuta della crisi dei debiti sovrani è stato il Fondo monetario internazionale. Ieri il direttore esecutivo del Fmi, Christine Lagarde, ha spiegato che “dev'essere fatto di più in Europa, soprattutto sul fronte della condivisione delle responsabilità fiscali”. Soltanto un'ora prima era stata l'Ocse, organizzazione internazionale dei principali paesi industrializzati, ad auspicare lo stesso percorso, inviso soprattutto alla Germania che non ritiene di dover sostenere i rischi connessi ai debiti di paesi meno virtuosi. Secondo Pier Carlo Padoan, capoeconomista dell'Ocse, “la prospettiva dev'essere quella di una totale integrazione fiscale, che passa attraverso gli Eurobond”. In mattinata i più filofederalisti tra i parlamentari europei, riuniti per la loro sessione a Strasburgo, si facevano invece forti dei nuovi dati dell'Eurobarometro: secondo i sondaggi, infatti, rispetto a sei mesi fa aumenta il numero di cittadini dei 27 paesi membri che si dicono a conoscenza della proposta degli Eurobond (uno ogni due intervistati), con il 66 per cento di questi ultimi schierati a favore della proposta.

    D'altronde sono stati proprio i recenti capovolgimenti elettorali – soprattutto in Francia – a rafforzare questo coro: due giorni fa il neo ministro delle Finanze francese, Pierre Moscovici, aveva sottoposto il dossier Eurobond direttamente al suo omologo tedesco, Wolfgang Schäuble, facendogli allo stesso tempo notare che Parigi non è sola a sostenere questa soluzione. Ieri, per tutta risposta, dalla Cancelleria hanno detto che anche il governo di Madrid la penserebbe come Angela Merkel: i titoli di debito europeo non sono una priorità.

    Un primo e concreto frutto di queste schermaglie diplomatiche, però, potrebbe uscire già dalla riunione di stasera. Niente Eurobond, certo, ma Project bond sì. Questi ultimi comporterebbero emissioni di debito mirate per finanziare misure pro crescita, soprattutto infrastrutture. Già ieri Consiglio Ue e Parlamento europeo hanno annunciato l'avvio di un progetto pilota per il biennio 2012-2013. Si accantoneranno per questo 230 milioni di euro, ovvero briciole, con una capacità di leva da utilizzare per gli investimenti di 4-5 miliardi di euro, poco più di qualche briciola. Ma è il principio che conta e che stasera potrebbe uscire rafforzato dal vertice di Bruxelles su cui si appuntano le speranze dei mercati.

    Anche Merkel, d'altronde, fa le sue aperture, seppure su un fronte diverso: ieri la cancelliera ha auspicato un coordinamento a livello comunitario in Europa in caso di difficoltà per le banche sistemiche. Il timore, adesso, è infatti che una corsa agli sportelli in Grecia possa generare panico anche in altri paesi a rischio, con effetti a catena sulle banche di tutta l'Ue. Un recente report di Erik F. Nielsen, global chief economist di Unicredit, auspica la discesa in campo di una “istituzione paneuropea” – possibilmente il nuovo Fondo salva stati (Esm) – per supervisionare gli istituti dell'Eurozona e garantire i loro depositi. Su questo anche il governo Monti avrebbe stilato una sua proposta con Bankitalia.