Consigli per liberali temerari (ma non cazzoni)

Marco Valerio Lo Prete

I suggerimenti del Centre for Policy Studies a Cameron per rifondare la destra. Una lezione per i colleghi italiani

    “There is much more to government  than management”, governare vuol dire  molto più che amministrare. Per governare  con successo occorre infatti vincere  battaglie culturali come quella per la riabilitazione  del libero mercato e per l'affermazione  dell'individuo rispetto allo strapotere  delle imprese private e dello stato. Se  questo è l'avvertimento che le teste d'uovo  conservatrici del Centre for Policy Studies  hanno appena rivolto al premier inglese  David Cameron, figurarsi se i loro consigli  non possano tornare utili per una destra di  lotta e di governo – insomma “cazzona” (cit.)  – come quella italiana. 

    L'obiettivo di Tim Morgan – analista finanziario,  stratega politico e autore de “The  quest for change and renewal” – è tutto nel  sottotitolo del pamphlet: “Come riempire il  gap ideologico del centro-destra”. Perché la  certezza di fondo è che “la presenza di una  visione ideologica, largamente accettata  dall'elettorato, è d'obbligo se un qualche sostegno  pubblico dev'essere assicurato a  riforme di ampia portata”. Un esecutivo,  per essere giudicato “di successo”, deve rispettare  due criteri: primo, garantire una  buona amministrazione (economia in  espansione, servizi pubblici di qualità, conti  pubblici in ordine, difesa della nazione);  secondo, invertire il senso del modo di pensare comune nell'opinione pubblica. Il Centre  for Policy Studies, nel suo studio, non si  dilunga troppo sui problemi di amministrazione – quelli ci sono e sono enormi, sostiene  Morgan, a causa di una recessione economica  senza precedenti –, piuttosto si  preoccupa di ricordare che un esecutivo o  procede parallelamente sui due binari (amministrativo  e ideale) oppure è destinato a deragliare al primo bivio elettorale.

    Sono necessarie dunque cartucce intellettuali per una sfida che in passato fu già vinta, per  restare alla storia della più longeva democrazia  del pianeta, dal laburista Clement  Attlee (1945-51) o dalla conservatrice Margaret Thatcher (1979-1990). Attlee, subito dopo  la Seconda guerra mondiale, chiarì di  non voler tornare alla politica del “business  as usual” che aveva caratterizzato la fase  successiva alla Prima guerra mondiale; mobilitò  invece l'elettorato per battere “bisogno, malattia, ignoranza, squallore e indolenza”,  con un piano di welfare, nazionalizzazioni  e politiche keynesiane. Il tandem  buona amministrazione-buoni ideali è alla  radice poi del successo della Thatcher: la Lady di Ferro propose privatizzazioni, deregulation,  meno tasse, collocando però  queste scelte all'interno di una “ideologia  coerente” che intendeva ristabilire un sano  equilibrio tra stato troppo invadente e  individuo troppo oppresso (“ideologia coerente”  che lo stesso Centre for Policy Studies  contribuì a forgiare). Secondo Morgan,  invece, il laburista Tony Blair non ha fatto  altro che creare un'ideologia “sintetica”,  abile mix tra welfarismo di Attlee e mercatismo  di Thatcher.

    Insomma, cosa dovrebbero fare oggi Cameron  e tutti i conservatori? Innanzitutto  non tirarsi indietro e sfidare la sinistra su  questo campo di battaglia intellettuale. La  situazione del Regno Unito, sotto molti  aspetti negativi, ricorda quella dell'Italia:  istituzioni screditate (“Parlamento incluso”),  rabbia diffusa contro i più ricchi, facilità  nell'individuare le riforme strutturali  necessarie e difficoltà a implementarle. Il  primo obiettivo è quindi “riabilitare il capitalismo”,  inteso soprattutto come “libero  mercato”: quello vigente oggi si è “imbastardito”,  la crisi infatti è stata generata dalla  voglia irrefrenabile di formare cartelli e  monopoli, ingabbiare i regolatori, nascondere  le informazioni al consumatore. Il capitalismo  deve “servire ciascuno di noi”, e tutte le misure che avvicinano questo obiettivo  devono essere perseguite e pubblicizzate:  più poteri agli azionisti, introduzione  di procedure di fallimento per le istituzioni  finanziarie troppo grandi, prevenzione  delle bolle speculative (immobiliari o finanziarie  che siano), contratti più chiari e  con meno clausole nascoste di tipo vessatorio,  trasparenza e meritocrazia.

    Per convincere la gente, inoltre, non bisogna  aver paura di portare il confronto su  un piano “etico”, sfidando parole d'ordine  inculcate da anni di blairismo. Gli eccessi  causati da un generico egualitarismo sono  noti: “Una società che se la prende con il  successo è una società che rinnega il conseguimento  di obiettivi con impegno e abilità,  e una società che è antitetica all'impegno  è una società che, consapevolmente o  meno, ha scelto una strada di rapido declino  economico”. Il report del Centre for Policy  Studies si trasforma a questo punto in  un manuale del politico provetto: quando  oggi si sente parlare dell'“imperativo di  proteggere i diritti dei lavoratori”, suggerisce  Morgan, bisognerebbe ricordare che in  realtà s'intende “proteggere i privilegi di  quelli che già hanno un lavoro, anche se ciò  rende più difficile per i disoccupati trovare  un'occupazione”. E via altri esempi.

    Infine, la mossa decisiva del conservatore  2.0 – la “killer app”, per usare la metafora  informatica del report – è quella di “difendere  le libertà individuali dalle incursioni  sia della macchina statale che dagli  interessi delle corporation private”. E' l'unico  modo per corrispondere – in modo non  populistico – alla sensazione sempre più  diffusa nella popolazione che la società sia  divisa tra “noi” e poi “loro”, quelli sempre  più ricchi e potenti: disincentivare spese  folli delle istituzioni pubbliche, bloccare intrusioni  come le intercettazioni telefoniche  (da parte dei media, nel Regno Unito), annichilire  la corruzione nelle forze di polizia  e promuovere trasparenza nell'attribuzione  dei super stipendi.  L'austerity fiscale è nulla senza la crescita. Però austerity e crescita diventano un  miraggio senza una preventiva battaglia per  conquistare “cuori e menti” degli elettori a  favore di riforme impopolari (ma non anti  popolari). La destra italiana, che anche solo  per assicurare il minimo sindacale di rigore  fiscale ha dovuto appoggiare un governo  di tecnici, traduca e prenda appunti.

    Leggi anche:
    Qui il testo integrale (in inglese) del report del Centre for Policy Studies

    Questo articolo è apparso sul Foglio di sabato