INDISCRETO - E se Monti potesse trattare ben poco?

Marco Valerio Lo Prete

Viste le posizioni che alcuni alti dirigenti della Bce vanno sostenendo in giro per il mondo...

    Lunedì c'è un'attesa riunione dell'Eurogruppo, nella quale si decideranno tra l'altro i dettagli del meccanismo anti spread stabilito al vertice del 28-29 giugno e fortemente voluto dall'Italia. Mario Monti, però, potrebbe avere molti meno margini di manovra di quanto non si prevedesse fino a qualche giorno fa. Non soltanto perché la Finlandia è arrivata a minacciare (seppure con mille distinguo) l'uscita dall'euro, segnalando così il malumore dei cosiddetti "paesi virtuosi" rispetto a ogni condivisione di sovranità e rischi. Ma anche perché a non battere ciglio per ora è la Banca centrale europea (Bce).

    Mario Draghi, sia chiaro, ci ha messo del suo in questa fase per risolvere la crisi dell'Eurozona, al punto da abbassare questa settimana i tassi di riferimento sotto l'1 per cento, prima volta nella storia della moneta unica. Solo che non si è spinto in là fino ad avallare una licenza bancaria per l'ESM, ovvero il Fondo salva stati permanente che dovrebbe intervenire - secondo i piani di Monti - ogni volta che i rendimenti sul debito di un paese schizzassero troppo in altro. Senza licenza bancaria, però, le risorse dell'ESM paiono troppo limitate per rassicurare i mercati.

    Eppure un paese come l'Italia, con il deficit pubblico vicino allo zero e le riforme strutturali in corso - è il ragionamento di Palazzo Chigi - dovrebbe essere aiutato dall'UE nel limitare il contagio dello spread che non dipende direttamente o soltanto dai suoi problemi domestici. Che gli investitori chiedano un interesse del 6% su un titolo Btp decennale, come accaduto venerdì, è assurdo, sostengono sempre a Palazzo Chigi.

    Di tutt'altro avviso, secondo alcune indiscrezioni raccolte da Contrarian, sono alti dirigenti della Bce: a un convegno che si sta tenendo in queste ore a Cartagena (in Colombia), infatti, con la presenza di banchieri centrali dell'area centro-sudamericana, un rappresentante dell'Istituto di Francoforte ha parlato lasciando di stucco gli altri partecipanti. A chi gli chiedeva conto della differenza dei rendimenti sul debito giapponese e italiano, facendo intendere che forse la distanza tra una moneta sostenuta da un prestatore di ultima istanza per gli stati e una moneta sguarnita di prestatore di ultima istanza si inizia a far sentire, questo alto dirigente della Bce ha replicato in maniera sorprendente. Ha sostenuto infatti che Roma non è per nulla assimilabile a Tokyo (e questo nonostante le sue stesse slide dimostrassero che l'Italia ha obiettivi di rientro dei conti pubblici molto più realistici), e ha detto che in fondo pagare il 6 per cento di rendimento sui titoli decennali è il giusto prezzo da corrispondere "per il debito di un Paese emergente", situazione in qualche modo più vicina a quella del nostro paese di quanto non sia quella giapponese. Questo - sottolineo - il rappresentante della Bce lo avrebbe ripetuto di fronte a banchieri centrali americani e a rappresentanti delle maggiori organizzazioni internazionali di tutto il pianeta.

    Ok, ma se il prezzo è giusto (cit.) e ai piani alti della Bce la pensano così, allora Monti di quale meccanismo anti spread dovrà o potrà trattare lunedì?