Il giusto dosaggio di ormoni per salvare l'euro

Marco Valerio Lo Prete

Il libero scambio genera ricchezza e incentiva relazioni pacifiche tra stati (sosteneva l'economista francese del diciannovesimo secolo, Frédéric Bastiat: se i confini sono attraversati da merci difficilmente saranno attraversati da eserciti). Quello che gli studiosi di neuroeconomia aggiungono ora, e che gli europei dovrebbero tenere a mente prima di mandare all'aria l'unione economica e monetaria, è che il libero mercato rafforza anche sentimenti di fiducia ed empatia tra gruppi ben più ampi di quelli familiari, stimolando la produzione di un ormone chiamato “ossitocina”

    Il libero scambio genera ricchezza e incentiva relazioni pacifiche tra stati (sosteneva l'economista francese del diciannovesimo secolo, Frédéric Bastiat: se i confini sono attraversati da merci difficilmente saranno attraversati da eserciti). Quello che gli studiosi di neuroeconomia aggiungono ora, e che gli europei dovrebbero tenere a mente prima di mandare all'aria l'unione economica e monetaria, è che il libero mercato rafforza anche sentimenti di fiducia ed empatia tra gruppi ben più ampi di quelli familiari, stimolando la produzione di un ormone chiamato “ossitocina”. Queste almeno sono le conclusioni alle quali giunge un economista eclettico come lo statunitense Paul Zak nel suo ultimo libro, “The Moral Molecule” (Dutton, New York, maggio 2012), un inno evoluzionista al libero mercato, intitolato all'ormone associato – tra le altre cose – all'allattamento dei neonati da parte delle madri. La “molecola morale”, nella specie umana, è opportunamente bilanciata dal testosterone, associato invece ad aggressività e predisposizione a infliggere punizioni. L'evoluzione – sostiene Zak – ha premiato i dosaggi ormonali dell'uomo: rispetto a scimpanzé e bonobo, troppo aggressivi o troppo pacifici, infatti, “fuoriuscire dalla foresta è toccato ai loro cugini, cioè a noi, che abbiamo trovato quel punto felice nel quale si combinano una sana competizione e un elevato livello di cooperazione, ovvero la spinta di testosterone e ossitocina”.    

    Cos'ha da imparare l'Unione europea da tutto questo? Non poco, soprattutto in una fase di tensioni politiche crescenti tra i diversi paesi della moneta unica, giornalisticamente divisi tra falchi del rigore (Germania, Finlandia, Olanda, eccetera) e campioni del lassismo (Grecia, Spagna, Italia, eccetera), con i primi sempre pronti a bacchettare i secondi che invece invocano solidarietà e accusano gli altri di mancanza di empatia. In particolare, uno degli esperimenti citati da Zak si presta quasi alla perfezione per descrivere l'attuale situazione dell'euro. Alcuni ricercatori dell'università di Erfurt in Germania e della London School of Economics nel Regno Unito hanno infatti chiamato 84 persone a partecipare a quello che prende il nome di “Public goods game”, o “gioco dei beni pubblici”, un classico dell'economia sperimentale. Nel caso specifico, funziona così: a ciascuna delle 84 “cavie” vengono assegnati 20 dollari, dopodiché per ognuno si tratta di scegliere se fare parte del gruppo dei liberi-irresponsabili (“freewheelers”) o dei bacchettatori-di-nocche (“knuckleknockers”). Dopo aver scelto a quale gruppo appartenere, ogni partecipante dovrà poi decidere se e quanto devolvere dei propri 20 dollari, per destinare la quota a un fondo comune del gruppo di appartenenza. Il punto è che i soldi che non finiscono nel fondo comune restano nelle tasche del partecipante, mentre soltanto i soldi che finiscono nel piatto comune hanno possibilità di generare valore; alla fine del turno, però, dopo che le decisioni di “investimento” dei partecipanti sono state rese note, i guadagni ottenuti dal “piatto” vengono divisi equamente tra tutti i partecipanti del gruppo. Tutto questo genera comportamenti da free rider tra i liberi-irresponsabili: molti di loro, infatti, non contribuiscono minimamente al piatto comune, aspettandosi che gli altri lo facciano e sperando così di guadagnare comunque. Va diversamente tra i bacchettatori-di-nocche: all'interno di questo gruppo, infatti, ogni giocatore può decidere alla fine del turno di punire un altro partecipante che ritenga scorretto (pagando un euro, si ottiene il diritto di comminare una multa di tre euro). All'inizio del gioco, osservano i ricercatori, soltanto un terzo dei partecipanti opta per far parte dei bacchettatori-di-nocche: “Ehi – pensa la maggioranza di noi secondo Zak – ho già avuto per lungo tempo a che fare con delle suore che mi picchiavano sulle mani! Davvero non ne ho ancora bisogno”. Dopo il quinto round, però, diventa ovvio a tutti che la squadra dei bacchettatori-di-nocche riesce a mettere assieme un piatto più ricco, quindi a investire di più e quindi a ridistribuire più soldi. Entro il decimo round, non a caso, 75 degli 84 partecipanti decidono di cambiare squadra ed entrano a far parte dei bacchettatori-di-nocche. “Con più membri che entrano a fare parte del gruppo e devolvono risorse liberamente, i benefici che derivano dal fatto di avere una istituzione che fa applicare le regole chiaramente e con certezza diventano ancora maggiori”, chiosa Zak.

    Promuovere comportamenti cooperativi premiando i migliori e sanzionando i peggiori, quindi, porta risultati. Dunque più sanzioni per tutti, come chiedono – tornando alla metafora europea – i falchi rigoristi della Bundesbank? Nient'affatto, secondo le tesi di Zak dalle quali emerge da una parte l'importanza di fondo degli atteggiamenti cooperativi e dall'altra le derive violente degli eccessi di testosterone. “Il bilanciamento ancora una volta è la strada migliore. Per questo la natura ha accoppiato il testosterone (aggressione e punizione) con l'ossiticina (empatia e cooperazione), con le proporzioni di ciascuno dei due ormoni che sono libere di fluttuare secondo le circostanze”. La neuroeconomia descrive tutto ciò, ma non offre scorciatoie per regolare al meglio il dosaggio vincente. L'Eurozona dovrà trovarlo da sola questo dosaggio di ortodossia e cooperazione, e in fretta. Ma senza eccessi.

    Leggi anche: "Ma l'uguaglianza è per pochi", di Gilberto Corbellini, apparso sul Sole 24 Ore di domenica.