Cosa succede se l'Italia perde pezzi al Fmi

Marco Valerio Lo Prete

    La scorsa settimana Corriere della Sera e Italia Oggi hanno dato per primi la notizia dell'avvicendamento in corso del direttore esecutivo per l'Italia al Fondo monetario internazionale: ad Arrigo Sadun, in carica da sette anni, vicino all'ex ministro dell'Economia Giulio Tremonti, succederà infatti Andrea Montanino, direttore generale al dipartimento del Tesoro del ministero dell'Economia. Da novembre i dossier sul tavolo di Montanino non saranno pochi, in una fase nella quale il Fmi diretto da Christine Lagarde ha assunto un ruolo da protagonista nella gestione della crisi, soprattutto in Europa. Montanino inoltre dovrà assicurarsi che Roma mantenga la facoltà di candidare il proprio direttore esecutivo del Fondo che, secondo le regole del Fmi, non rappresenta soltanto il nostro paese ma una “constituency” formata da Albania, Grecia, Malta, Portogallo, San Marino e Timor est.

    Secondo indiscrezioni raccolte del Foglio, però, Timor est starebbe seriamente pensando di esprimere con il suo voto segreto la volontà di lasciare la nostra constituency per associarsi a quella guidata dal Brasile. “Per ora non risultano cambiamenti”, dicono fonti ufficiali del Fmi. Il problema, non piccolo, è che altre uscite dalla constituency potrebbero essere fatali per il ruolo dell'Italia, soprattutto in una fase di ribilanciamento dei poteri all'interno del Fmi a favore dei paesi emergenti.