Così Messori e Astrid rilancerebbero la produttività
Nell'attesa di un accordo tra le parti sociali o di un possibile intervento risolutivo di Mario Monti, il gap di produttività e competitività dell'Italia con i partner europei rimane invariato. Per questo anche l'associazione Astrid, presieduta da Franco Bassanini (presidente di Cassa depositi e prestiti), incalza il governo con le ricerche di un suo “gruppo di studio” ad hoc.
Marcello Messori, docente di Economia alla Luiss e coordinatore del gruppo dell'Astrid, dice però al Foglio che “non si può aumentare la produttività se non si tiene conto, oltre che del fattore lavoro, del ruolo degli imprenditori e dell'ambiente in cui operano”. Per questo, nella sua ricerca, Bassanini prende in considerazione "i tassi di crescita della Tfp (produttività totale dei fattori)" e soltanto poi "quelli connessi della Lp (produttività del lavoro". Sia Tfp che Lp, comunque, dalla seconda metà degli anni Novanta hanno registrato "un grave divario negativo" rispetto agli altri paesi Ue. Il problema non è di mera statistica, ovviamente, considerato che c'è "una stretta correlazione tra dinamica aggregata della Lp e della Tfp e la dinamica stagnate del pil". Il sistema perde competitività, dunque, e riesce a creare sempre meno ricchezza.
Per capire il perché di questo andamento negativo italiano, bisogna fare un passo indietro. L'innovazione, ricorda Messori, è sempre meno “incorporata nei beni capitali” e invece sempre più, soprattutto per via delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (Ict), “frutto dell'organizzazione dei processi produttivi”. Il problema è che le innovazioni organizzative sono solitamente appannaggio delle imprese medio-grandi, e invece in Italia le stesse imprese “sono poco incentivate a compiere un salto dimensionale”. Le ragioni sono due: primo, pesano le “esternalità negative, come la pressione fiscale sui redditi da lavoro dipendente, i tempi lunghi della giustizia e l'inefficienza della Pubblica amministrazione”. Secondo, “quello italiano è un capitalismo famigliare peculiare, senza separazione tra proprietà e controllo”.
Se questa è la "narrativa" giusta, dicono in Astrid, come si possono rendere più convenienti i costi delle innovazioni organizzative agli imprenditori delle piccolo-medie e piccole imprese italiane, anche se sono poco propensi al cambiamento? La proposta, così come l'anticipa Messori, è originale: consiste, in estrema sintesi, nel "condizionare le prospettive di un 'delta' di profitti di ognina delle imprese italiane ai 'delta' di produttività che saranno da esse realizzati". Si chiama "produttività programmata" e funziona grossomodo così: in un'azienda imprenditore e sindacato si accordano sui futuri tassi pluriennali di crescita della produttività del lavoro, e fissano per lo stesso periodo anche dei tassi di crescita dei salari reali. Modello semplificato: ci attendiamo che la produttività possa crescere del 10 per cento nei prossimi 5 anni? Ci accordiamo per far aumentare i salari reali, in proporzione, del 10 per cento. Se poi la produttività aumenterà oltre il 10 per cento "programmato", allora l'impresa avrà ampi margini di profitto; se invece la produttività sarà minore, la società incorrerà in possibili perdite. In questo secondo caso, ovviamente, anche la piccola impresa sarà dunque incentivata a riorganizzarsi per vedere aumentare la produttività in linea con le attese e non perdere soldi. (Quelle imprese che non vorranno siglare contratti aziendali, infine, dovranno accettare come termini di riferimento la media delle dinamiche di produttività programmata concordate dalle altre aziende).
Messori non nasconde le "difficoltà di attuazione" della "produttività programmata", anche perché ovviamente in sede di contrattazione nazionale non si potranno inserire per esempio sotto un unico tipo di contratto imprese di settori a diverso tasso potenziale di crescita. Poi ci sono i problemi sociali da gestire: questo tipo di contrattazione incentiva la riorganizzazione delle imprese ma, in caso di perdite più o meno prolungate, accompagna e non impedisce il processo che Schumpeter chiamava di "distruzione creatrice"; per questo l'economista della Luiss pone molta enfasi sulla predisposizione di ammortizzatori sociali universali. Infine è certo che anche accettando queste tesi, lo schema potrà funzionare soprattutto se si procederà con intese aziendali. Parti sociali permettendo.
Leggi anche:
1) L'articolo apparso oggi sul Foglio con lo stato delle trattative Monti-parti sociali.
2) Alcune delle slide presentate da Messori all'Astrid.