Giavazzi va forte. In America.

Marco Valerio Lo Prete

    Lo scorso 15 ottobre, tra le righe del suo ultimo editoriale firmato sul Corriere della Sera con il collega Alberto Alesina, Francesco Giavazzi ha inviato un altro accorato appello a Mario Monti: “Da quattro mesi (dal 23 giugno) il governo ha sul tavolo un progetto per eliminare quei 10 miliardi (di sussidi alle imprese, ndr), di cui una metà potrebbero essere tagliati già dal prossimo anno”. Come dire: cari tecnici non perdete altro tempo, tirate fuori dal cassetto la mia proposta di tagli ai sussidi industriali e usate quelle risorse per correggere la rotta sulla legge di stabilità (giudicata una “indigestione” di imposte dall'economista della Bocconi). Ma fino a ora Giavazzi, che nello scorso maggio fu nominato “consulente” ad hoc dallo stesso Monti, non è parso ascoltatissimo.

    Soltanto adesso, ha rivelato il Sole 24 Ore sabato scorso, le rimostranze di tutti i partiti rispetto alla legge di stabilità avrebbero convinto il ministero dell'Economia ad accelerare sul “riordino degli incentivi alle imprese”. Con l'avvertimento però, sosteneva il quotidiano confindustriale che pure del piano Giavazzi è grande sostenitore, che i 10 miliardi di euro di tagli previsti sulla carta sarebbero stati ridotti a 4 miliardi dagli uffici del ministero dell'Economia. Quattro miliardi "in un anno", precisano però da Via XX Settembre. Fonti parlamentari spiegano al Foglio che l'idea del governo sarebbe ora quella di mostrare un volto meno “decisionista” e far discutere inizialmente in Aula la bozza Giavazzi. Sarà il metodo più efficace, considerato il peso di certe lobby che potrebbero vedere intaccati i loro interessi? 

    Intanto il docente della Bocconi non sembra perdersi d'animo. E' appena tornato dagli Stati Uniti, paese decisamente più incline ad accogliere il suo verbo liberista. Nella sede di San Francisco della Federal reserve, la Banca centrale presieduta da Ben Bernanke, Giavazzi ha presentato infatti il suo ultimo lavoro accademico, scritto assieme ad Alesina (Harvard) e Carlo Favero (Bocconi): “The output effect of fiscal consolidations”. La tesi di fondo – sostenuta da dati sempre più aggiornati – può essere così sintetizzata: riduzioni del deficit e del debito non portano automaticamente alla recessione economica prolungata. L'importante, come dimostrano i precedenti storici passati in rassegna dagli autori, è raddrizzare i conti tagliando la spesa e non aumentando le tasse. Alcuni dei grafici contenuti nello studio e spiegati ai colleghi americani, non è un caso, sono gli stessi del rapporto che ancora giace sulla scrivania del ministro Vittorio Grilli. La speranza di Giavazzi è che adesso anche Monti e il Parlamento italiano si decidano ad ascoltarlo.