I contribuenti italiani delegittimano Israele (a loro insaputa)

Marco Valerio Lo Prete

Il contribuente italiano non lo sa, ma ogni volta che paga le tasse c'è una buona probabilità che i suoi soldi finiscano – attraverso l'intermediazione di stato e regioni – a organizzazioni non governative (ong) che delegittimano lo stato di Israele o addirittura ne mettono in discussione l'esistenza

    Il contribuente italiano non lo sa, ma ogni volta che paga le tasse c'è una buona probabilità che i suoi soldi finiscano – attraverso l'intermediazione di stato e regioni – a organizzazioni non governative (ong) che delegittimano lo stato di Israele o addirittura ne mettono in discussione l'esistenza. E, a maggior ragione in questi giorni di scontri violenti tra gruppi armati palestinesi nella striscia di Gaza ed esercito israeliano, ciò fa sì che il nostro paese abbia costituito di fatto “un doppio binario di relazioni con Israele: da una parte quello ufficiale, di amicizia e sostegno, dall'altra uno parallelo, di condanna e stigmatizzazione”.

    E' quanto sostiene una ricerca sponsorizzata dalla Federazione delle associazioni Italia- Israele, dalla Fondazione Camis De Fonseca e da Informazione Corretta, che sarà presentata oggi a Roma alla presenza di Naor Gilon, ambasciatore di Gerusalemme in Italia. Nel pamphlet curato dal ricercatore Giovanni Quer non mancano le prove di un capillare processo di “delegittimazione” di Israele finanziato con le tasse degli italiani. Così si scopre che nel progetto del 2009 “Promozione dell'educazione alla prima infanzia” della regione Emilia Romagna in partnership con la Cgil Modena, l'obiettivo dell'intervento era di “alimentare ‘il diritto al gioco', per un'infanzia che soffre le pesanti restrizioni derivanti da una ultradecennale situazione di occupazione militare israeliana, diretta o indiretta”. Giudizio tranchant, non c'è che dire, soprattutto se viene da uno stato amico di Israele come l'Italia. La regione Abruzzo, nel 2008, ha finanziato il progetto “Asili di Gerusalemme”, nella cui scheda si legge che “Gerusalemme è occupata dalle truppe israeliane, con conseguenti discriminazioni a sfavore dell'infanzia palestinese”. Sempre l'Abruzzo ha finanziato il progetto intitolato (poco sobriamente) “Scuole sotto assedio” per Nablus e Ramallah. Tra 2009 e 2011 è stata la Cooperazione italiana (ministero Affari esteri) a sostenere un “rafforzamento del sistema universitario palestinese” con 986 mila euro, destinati ad atenei come la An-Najah University, teatro in un recente passato di mostre che esaltavano il terrorismo suicida e luogo d'azione e reclutamento di gruppi terroristici.

    Al di là dei singoli casi citati, lo studio – alla cui presentazione parteciperà oggi anche Fiamma Nirenstein, deputata del Pdl e presidente dell'International council of jewish parlamentarians – è il primo tentativo di quantificare i fondi pubblici italiani destinati alle ong della Palestina. In tutto parliamo di circa 185 milioni di euro erogati da stato e regioni negli ultimi 5-6 anni. Questa stima, già tutt'altro che insignificante, è allo stesso tempo prudente. Il problema infatti, come emerso dalla fase di stesura del rapporto, è che i documenti ufficiali sul finanziamento delle ong sono caratterizzati da “mancanza di trasparenza” e “incompletezza delle informazioni”. Delle 20 regioni italiane, per esempio, soltanto 13 consentono l'accesso del pubblico ai dati. E “dei 189 interventi analizzati, solo 89 riportano il bilancio, pertanto la somma che si avvicina ai 5 milioni di euro (negli ultimi 5 anni, ndr) rappresenta solo il 47 per cento dei finanziamenti destinati ai progetti e alle donazioni di cui si ha notizia”. Di cui si ha notizia, appunto. Negli ultimi dieci anni, invece, per quanto riguarda la Direzione generale cooperazione allo sviluppo del ministero degli Affari esteri, “l'ammontare dei finanziamenti corrisponde a 137.143.359 euro”, di cui 58 milioni alle ong e 79 milioni all'Autorità nazionale palestinese. Un mix di risorse e consenso (spesso però inconsapevole) con cui gli italiani rischiano di alimentare uno dei conflitti più lunghi e sanguinosi del pianeta.