L'austerity, il Fmi e la disputa teorica più concreta che c'è

Michele Masneri

    L'austerity suggerita dalla Troika di Fondo monetario internazionale, Banca centrale europea e Commissione europea ha ammazzato la crescita o ha rimesso in ordine i conti della disastrata Europa? Né l'affievolirsi dello spread tra Btp italiani e Bund tedeschi (ieri sceso sotto i 270 punti), né la prima asta di titoli obbligazionari privati conclusa con successo in Grecia due giorni fa, forniscono la risposta definitiva. L'ultimo colpo di scena è stato assestato nella notte di ieri dal capo economista del Fondo monetario internazionale, Olivier Blanchard. Il tema riguarda il moltiplicatore fiscale, cioè il rapporto tra riduzione del deficit e il conseguente effetto negativo sul pil delle economie sotto tutela. Fino a ottobre scorso, si registrava un sostanziale consenso tra i massimi organismi mondiali: tutti erano concordi che il moltiplicatore rimanesse al massimo dello 0,5 per cento; cioè, per ogni punto percentuale di deficit abbattuto, la riduzione del pil è al massimo di mezzo punto.

    A ottobre, però, un clamoroso dietrofront. Nel suo World Economic Outlook, massimo scenario degli equilibri economici mondiali, il Fmi aveva ammesso di essersi sbagliato. Sulla base di dati per 28 economie dallo scoppio della crisi del 2008 a oggi, il moltiplicatore sarebbe stato in realtà molto più massiccio del previsto, compreso fra lo 0,9 e l'1,7, quindi doppio o triplo rispetto al previsto. “Bisogna chiedersi – diceva lo studio – se gli effetti negativi dei tagli nel breve termine siano stati maggiori del previsto perché i moltiplicatori fiscali sono stati sottostimati”. Sottostimati dallo stesso Fondo ma anche dalla Commissione europea. E Blanchard, numero uno dei tecnici Fmi, suggeriva che “quando il caso lo richiede, dobbiamo essere pronti ad aggiustare i nostri obiettivi se i moltiplicatori fiscali sono così ampi”.

    L'abiura del Fmi aveva provocato uno scontro tra Fmi, Bce e Commissione europea: il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, aveva protestato sostenendo che “quando devi scalare una montagna non puoi a un certo punto metterti a fare discesa libera, altrimenti la montagna diventerà sempre più grossa”. Erano seguite anche conseguenze pratiche: Olli Rehn, commissario europeo per gli Affari economici e monetari, aveva dovuto accettare misure di relax in particolare per il Portogallo (con obiettivo di deficit ammorbidito per il 2013 dal 3 al 4,5 per cento del pil). Il vulnus all'ortodossia pro austerity sembrava fatale. Poi però nuovo colpo di scena: a dicembre la Bce a guida di Mario Draghi era intervenuta con uno studio proprio, sostenendo nel suo Bollettino mensile che in condizioni normali il moltiplicatore sta intorno a quota 0,4 per cento, per salire al massimo allo 0,5-0,7 in tempi di crisi. Bruxelles a novembre aveva presentato altri dati, a dimostrare che la recessione, superiore al previsto in paesi come Spagna e Grecia, era dovuta al “panico sui mercati obbligazionari” e non certo per le misure di risanamento fiscale che andavano semmai aumentate, non diminuite. Anche il Financial Times aveva difeso l'ortodossia, che si sperava così ripristinata. Ieri però l'ultimo colpo di scena.

    In un paper il capo economista del Fmi, Blanchard, ribadisce che “avevamo ragione ad avere torto”, e cioè che come detto a ottobre l'austerità sta facendo più danni di quanto si sapesse. Perché? A parte complicate equazioni che gli appassionati possono trovare nel documento di 42 pagine, pare che i motivi siano da cercare in previsioni troppo ottimistiche nei primi anni della crisi, 2010 e 2011, e nella variabilità dello stesso moltiplicatore, che se in tempi normali può rimanere anche sotto lo 0,5 per cento, in tempi di crisi arriva anche a 2,5 punti. La disputa certo non finisce qui.