Hollande è l'inizio o la fine del rigore fiscale?
A leggere oggi due dei più importanti quotidiani nazionali, Corriere della Sera e Sole 24 Ore, non si capisce più come interpretare la figura di François Hollande, presidente della Repubblica francese.
A leggere oggi due dei più importanti quotidiani nazionali, Corriere della Sera e Sole 24 Ore, non si capisce più come interpretare la figura di François Hollande, presidente della Repubblica francese.
Per l'economista Lucrezia Reichlin, sulla prima pagina del Corriere della Sera:
(...) La Francia è un caso istruttivo. Nella fase preelettorale crescita ed equità, similmente a quanto accade da noi, avevano avuto un ruolo centrale nel dibattito pubblico, ma ora, in fase postelettorale, Parigi deve misurarsi con la realizzazione delle riforme. Guardiamo oltre la tassa sui patrimoni dei super ricchi e non facciamoci distrarre troppo dalle cronache di monsieur Depardieu in fuga verso Mosca: il governo francese ha fatto altro. Nel novembre 2012 è stato varato il "Patto di competitività" che comporta numeri molto più significativi di quelli che potrà generare la super Irpef per i miliardari. Il Patto prevede un taglio delle imposte sulle imprese per circa l'1% del Pil all'anno nel periodo 2014-16, finanziato con 10 miliardi di risparmi sul lato della spesa, e con altri 10 miliardi generati dall'aumento dell'Iva. (...) Il caso francese lascia spazio a due considerazioni interessanti nel quadro del dibattito italiano. Primo: il governo di Parigi, che a differenza nostra non ha raggiunto l'obiettivo del 3% di deficit, stringerà la cinghia nel 2013 proponendosi, con il Patto, di ridurre le tasse a partire solo dal 2014. (...) In altre parole, François Hollande non si lancia in politiche espansive della domanda, ma si piega alle esigenze dell'austerità. Secondo: le misure sgravano le imprese, ma pesano sui consumatori con effetti regressivi sulla distribuzione del reddito. QUesto è il punto politico. Se un governo socialista che ha posto tanta enfasi sull'equità prende questa strada significa che, al di là della retorica preelettorale, quando non si può far leva sulla domanda, si deve agire sul Pil dal lato dell'offerta. (...)
Ripeto: "Hollande non si lancia in politiche espansive della domanda, ma si piega alle esigenze dell'austerità". Ma per Guido Rossi, invece, che oggi - come ogni domenica - interviene sulla prima pagina del confindustriale Sole 24 Ore:
I commenti relativi alla politica e alla crisi in corso, fino almeno all'elezione del presidente Hollande, erano prevalentemente orientati nel ritenere che in tutti i paesi occidentali la politica avesse una connotazione decisamente conservatrice e di destra. Si soleva mascherare il conservatorismo liberista con l'inesistenza di politiche cosiddette di sinistra o di crescita, poiché l'unico problema rilevante era considerato quello dell'austerity e del rigore di bilancio, che non era di nessuna connotazione politica, bensì una decisamente sbagliata ideologia economica.
Che le politiche di austerità in periodi di crisi siano devastanti e comportino esclusivamente un ulteriore aggravamento della crisi, come è successo in Europa e in modo particolarmente doloroso negli ultimi anni anche in Italia, è ora finalmente, con incredibile onestà intellettuale, anche ammesso da chi fu tra i maggiori sostenitori, cioè il Fondo monetario internazionale.(...)
In sintesi: con Hollande all'Eliseo, lo strapotere (anche intellettuale) dell'austerity è terminato.
Chi avrà ragione secondo voi?