Se a farlo è Warren Buffett, anche salvare i giornali diventa un business

Marco Valerio Lo Prete

    Per una volta anche Warren Buffett, l'investitore per antonomasia, ha voluto seguire il cuore invece del portafoglio. E' quel che pensarono, nel giugno 2012, molti analisti, di fronte alla mossa di Berkshire Hathaway, la holding del quarto uomo più ricco al mondo, che acquistò 63 giornali locali statunitensi per la cifra di 142 milioni di dollari, con prestiti aggiuntivi per 445 milioni. Per una volta le letture a sfondo psicologico prevalsero a Wall Street su quelle puramente contabili. Se un signore nato nel 1930, con un patrimonio personale di oltre 60 miliardi di dollari secondo il Billionaires Index aggiornato ieri da Bloomberg, investiva sulla carta stampata ritenuta in via d'estinzione, le possibilità erano sole due: si trattava di un beau geste in ricordo dei tempi che furono, quelli dell'adolescenza passati a fare lo strillone per i quotidiani; oppure, malignò qualcun altro, dei primi segnali di una lucidità che andava scemando. Tutto falso, dice adesso il Wall Street Journal, quotidiano finanziario di proprietà di un altro magnate con il gusto dell'informazione, Rupert Murdoch. La scelta di Buffett, a un anno e mezzo di distanza, “sembra avere oggi molto più senso dal punto di vista finanziario”, ha scritto la giornalista Anupreeta Das. Senza contare che, nel frattempo, per i 63 quotidiani passati di mano nel 2012 è arrivata l'inattesa possibilità di una rinascita editoriale.

    Gli aspetti finanziari, innanzitutto. “Come parte dell'accordo del 2012 – scrive il Wall Street Journal – Berkshire Hathaway ha ottenuto anche dei ‘penny warrants', cioè il diritto a comprare 4,65 milioni di azioni di Media General (la società proprietaria delle testate) al prezzo di un centesimo per azione”. Dettaglio non da poco: nel settembre 2012 Buffett esercitò questo diritto e salì al 17 per cento di Media General, ottenendo pure di poter nominare un suo uomo nel board. Da allora il titolo della società quotata al New York Stock Exchange, sgravata da un settore in cui non riusciva a contenere le perdite e quindi concentrata sul più redditizio business delle tv locali, non ha fatto altro che salire. Un anno e mezzo fa, una singola azione valeva 4 dollari; il 31 dicembre scorso, la stessa azione è arrivata a quota 22,78 dollari. Una quintuplicazione abbondante del valore. Così oggi il 17 per cento del gruppo vale circa 105 milioni di dollari. A ciò occorre sommare gli interessi sui 445 milioni di prestiti concessi da Buffett. Risultato: se oggi l'investitore nato a Omaha, in Nebraska, decidesse di vendere il suo pacchetto azionario di Media General, ecco che l'acquisto dei giornali sarebbe già completamente ripagato. “Ora, cosa ne pensate, è stato un buon affare o no?”, conclude ironico il Wall Street Journal.

    Se in Borsa tutto va bene, anche in qualche redazione sembra si stiano accendendo ceri per Buffett. Al Richmond Times-Dispatch, per esempio, sono riusciti finalmente a rinnovare computer vecchi di 8 anni, a sistemare l'impianto audio della sala conferenze e a investire 1,3 milioni sul processo di stampa. “Come il Times-Dispatch, dozzine di piccoli giornali in giro per gli Stati Uniti stanno scoprendo i benefici dell'essere di proprietà dell'investitore miliardario – scrive il Wall Street Journal – E' uno il vantaggio chiave: grazie alle tasche profonde di Berkshire, i giornali acquistati da Buffett non devono fare affidamento su onerosi prestiti bancari per sopravvivere giorno per giorno”. Così potranno applicare “l'unico modello possibile” per sopravvivere “in un mondo che cambia così velocemente”, cioè “la flessibilità”, come ha scritto Marco Pratellesi, responsabile del sito dell'Espresso, nel suo manuale “New Journalism” appena ripubblicato da Bruno Mondadori.

    Il caso è già oggetto di studio nelle aule della Business school di Harvard, dove si verifica la sostenibilità delle tesi di Buffett, per cui i giornali locali sono tra quelli potenzialmente meglio attrezzati per superare la crisi del settore: “A Grand Island, in Nebraska, tutti sono interessati a come va la squadra di football locale – ha confidato Buffett ai collaboratori più scettici – Sono interessati a sapere chi si sposa. E forse sono ancora più interessati a sapere chi ha divorziato”. Sentimentalismo e sesto senso dell'Oracolo di Omaha, ancora una volta, contano solo fino a un certo punto: già nel 2012, infatti, i manager di Buffett hanno deciso di chiudere la testata News&Messenger di Manassas, in Virginia, per la sua manifesta incapacità di rimanere sul mercato anche una volta sgravata dai debiti. A ciascuno dei 63 quotidiani in questione, dunque, è stata offerta almeno una chance. E l'ultimo giro, negli Stati Uniti, lo offre la finanza.