AAA, cercasi "libertà economica" in Tunisia
Il dibattito istituzionale e l'attesa degli investitori (tunisini e internazionali)
Martedì, a meno di sorprese dell'ultimo momento, la Tunisia avrà una nuova Costituzione. Il testo sostituirà quello abrogato nel 2011, dopo la rivoluzione che spinse alla fuga il presidente della Repubblica, Zine el-Abidine Ben Ali, in carica dal 1987. La transizione verso un regime democratico-liberale, secondo gli analisti più prudenti, non è comunque assicurata né terminata, come dimostra tra le altre cose il trattamento riservato proprio in queste ore al tema della libertà economica.
La stampa occidentale, negli scorsi giorni, ha salutato l'approvazione della versione definitiva dell'articolo 20 della Costituzione tunisina, quello sui diritti delle donne. Dopo che nell'estate scorsa le bozze dell'articolato parlavano di "complementarietà" tra uomo e donna, adesso il riferimento alla parità di genere è molto più esplicito: "I cittadini e le cittadine sono uguali per diritti e dovere. Sono uguali davanti alla legge, senza alcuna discriminazione". Tuttavia, dai diritti umani alla pena di morte, passando per l'indipendenza dei giudici, le sollecitazioni riformatrici delle principali organizzazioni non governative continuano ancora in queste ore. Anche alcuni investitori internazionali, italiani inclusi, sono molto attenti al dibattito tunisino, visto che d'un tratto non è più scontato un riferimento alla "libertà dell'iniziativa economica" nel testo costituzionale.
Lo scorso fine settimana, come racconta la stampa locale, è stata infatti bocciata una proposta di articolo che avrebbe fatto parte del capitolo sui Diritti e le Libertà, e che recitava così: "Lo Stato garantisce la libertà di lavoro e la libertà d'iniziativa economica". I voti contrari sono stati 42, 27 gli astenuti; i 93 voti favorevoli non sono stati dunque sufficienti per raggiungere la soglia di 109 voti necessaria ad approvare le norme costituzionali. Il fronte dei "pro" era piuttosto trasversale. Oltre ai liberali, includeva anche alcuni filo-islamisti di Ennahdha. Habib Bribech, deputato di Ennahdha, ha detto infatti che "questo sarebbe stato l'articolo più rivoluzionario di tutto il testo". Gli osservatori più maliziosi spiegano al Foglio che gli islamici vorrebbero indebolire in questo modo il ruolo dei sindacati dei lavoratori (tendenzialmente laici), ma il ragionamento di Bribech sembra logico: uno Stato che dà lavoro a 600 mila funzionari, sostiene il deputato, è troppo appesantito; solo le garanzie legali a un settore privato libero potranno rilanciare l'economia e l'occupazione. Secondo gli osservatori internazionali, l'"ultracapitalismo" e il "liberismo selvaggio" agitati polemicamente dagli oppositori sono soltanto uno spauracchio; senza "libertà d'iniziativa" nella Carta fondamentale, piuttosto, ci sarà meno certezza per gli investitori, in balìa di regolamentazioni senza fondamento o di soprusi statali. Perciò alcuni parlamentari, in queste ore, stanno facendo di tutto per calendarizzare un'altra votazione all'ultimo momento.
Dice al Foglio Emmanuel Martin, economista francese e analista per il sito web LibreAfrique.org: "In realtà, se ci si ricorda delle modalità con cui è iniziata la rivoluzione tunisina, le reazioni degli anti mercatisti non mancano di stupire. Mohamed Bouazizi, il commerciante ambulante che si diede fuoco nel dicembre 2010 avviando la sollevazione contro il governo, si immolò proprio per reclamare la sua libertà d'iniziativa economica. Si era visto proibire la possibilità di commerciare e poi confiscare la sua merce. E' esattamente la mancanza di libertà d'iniziativa economica che ha generato il senso di oppressione di Bouazizi così come della maggioranza dei tunisini". Per questo Martin parla di "rivoluzione tradita" e replica anche ai deputati della sinistra ex comunista che si sono opposti all'emendamento temendo contraccolpi per i lavoratori: "La 'libertà di lavoro' non impedirà certo il diritto allo sciopero, come dicono alcuni, visto che anch'esso è garantito dalla Costituzione". In definitiva, secondo Martin, a rischio è "la credibilità" della Tunisia post-rivoluzione, non soltanto agli occhi degli "investitori internazionali": "Le piccolissime imprese che costituiscono il 95 per cento del tessuto economico del Paese sono le prime a preoccuparsi del fatto che la libertà d'impresa sia garantita".
Nel maggio 2011, intervistato dal Foglio, anche l'economista statunitense Edmund Phelps, Premio Nobel per l'Economia, si soffermò sul carattere poco inclusivo del modello capitalistico arabo come uno dei fattori principali dietro la destabilizzazione di questi ultimi anni, la cosiddetta "primavera araba". Phelps ricordò come le manifestazioni in Tunisia che il 14 gennaio 2011 portarono alle dimissioni di Ben Ali, il primo autocrate arabo a cadere, fossero iniziate subito dopo il 17 dicembre 2010, giorno in cui il giovane Mohamed Bouazizi si era dato fuoco per protesta: “Bouazizi stava vendendo verdure sulle strade di Sidi Bouzid, quando la polizia gli ha confiscato la sua bancarella sulla base del fatto che gli mancavano i permessi necessari. Non potendo permettersi le licenze e l'acquisto di una nuova bancarella, la vita di Bouazizi è stata in questo modo distrutta. Il giovane, infatti, non aveva altro modo per sostenersi”. Ancora: “L'assenza di inclusione nell'economia di mercato dei Paesi arabi, patita dalle persone più povere, era una grave ingiustizia – osservò infatti Phelps – Milioni di Bouazizi, incapaci di ottenere un posto in un mercato del lavoro controllato dallo stato e impossibilitati a iniziare un'attività senza avere le giuste connessioni, hanno trovato impossibile divenire membri produttivi della società”. Senza un cambiamento drastico del modello economico dominante nei paesi arabi, quello che alcuni esperti chiamano "capitalismo patrimoniale" e altri "capitalismo non di mercato", difficilmente si potrà attendere un successo duraturo delle rivoluzioni in corso. Vale anche per la Tunisia, in attesa delle ultime votazioni di martedì sulla nuova Costituzione.