Un Fondo monetario (molto) patrimoniale
Il Fondo monetario internazionale è avvezzo ai consigli non richiesti all'Italia, in particolare sulla tassazione dei patrimoni (oltre a quella sul lavoro). L'estate scorsa aveva evocato una patrimoniale straordinaria a fulminante così repentina da lasciare tutti imbambolati e non riuscire (potere) a spostare i capitali altrove, peraltro interamente destinata ad abbattere il debito. L'ultimo working paper del Fmi (Reforming Capital Taxation in Italy) fa i conti con l'Imu e guarda oltre. In sintesi, pur precisando di non esprimere la posizione ufficiale dell'organizzazione internazionale con sede a Washington, invoca una tassazione ordinaria sui patrimoni che contempli la “fusione” delle tasse diverse dall'immobiliare (in sostanza asset finanziari e beni di lusso dai quali si è ricavato lo 0,1 per cento del pil nel 2012) in modo da rimpiazzarle con una tassa omnicomprensiva sulla ricchezza con aliquota unica che, al contrario dell'Imu, appannaggio degli enti locali, dovrebbe essere incamerata dal governo centrale. Sebbene tale approccio sia stato abbandonato dai paesi nordeuropei ma sia tuttora usato in Francia, Spagna, Svizzera, Norvegia e Islanda, i motivi per cui sarebbe preferibile per l'Italia, secondo il Fondo, riguardano la rapida riduzione del debito pubblico e delle ineguaglianze (la ricchezza delle famiglie ammontava a 8.600 miliardi di euro alla fine del 2011, è scesa a 8.542 un anno dopo e, come noto, è il 10 per cento della popolazione a detenere la metà di quella ricchezza) e poi “probabilmente la cosa più importante”, dice il Fondo, disincentiverebbe l'accantonamento di capitali. E se diminuisce il tasso di risparmio, in teoria aumenta quello dei consumi. Ma è ovvio che ci sono degli imprevisti (incalcolabili) da considerare: il rischio è anche quello di generare una contrazione degli investimenti domestici e, nel peggiore dei casi, l'espatrio di capitali.