I consigli di Onassis e la Grecia come canarino del debito mondiale
“Per avere successo, continua ad apparire abbronzato, vivi in un palazzo elegante (anche se in realtà sei nella sua cantina), fatti vedere nei ristoranti giusti (anche se in realtà prendi solo un drink) e poi se prendi a prestito, prendi a prestito tanto”, disse l'armatore greco.
Oggi è andata in onda su Radio Radicale "Oikonomìa, alle radici del dibattito economico contemporaneo", mini rubrica in pillole. Di seguito il testo della puntata, qui invece l'audio (dura soltanto 5 minuti!). Sono ben accetti idee, consigli e critiche (scrivere a [email protected])
“Per avere successo, continua ad apparire abbronzato, vivi in un palazzo elegante (anche se in realtà sei nella sua cantina), fatti vedere nei ristoranti giusti (anche se in realtà prendi solo un drink) e poi se prendi a prestito, prendi a prestito tanto”. Così parlò Aristotele Onassis, il famoso armatore e miliardario greco vissuto dal 1906 al 1975. Questa settimana si capirà se la Grecia, che negli scorsi anni tanto ha preso a prestito e un po’ meno è riuscita a restituire, potrà trovare un accordo con i suoi creditori internazionali. Il rapporto fra debito pubblico e pil nel paese ha superato il 175 per cento e la nuova leadership del paese, con il governo guidato da Alexis Tsipras, finora ha chiesto ai partner europei uno sconto sostanzioso su questo fardello. Mercoledì e giovedì i ministri delle Finanze e i capi di governo dell’Eurozona si riuniranno per discuterne.
La parabola di Atene per molti versi è unica rispetto a quella di altre economie che pure sono state investite dalla crisi a partire dal 2008. Si pensi all’incredibile espansione del suo settore pubblico in proporzione all’economia nazionale, alla mancanza di istituzioni vitali per l’economia di mercato come è un catasto propriamente detto, oppure si pensi alla progressiva involuzione dell’apparato produttivo in una frappè-economy, cioè a un’economia fondata sui servizi a basso valore aggiunto, e via dicendo.
Ciò detto, perlomeno rispetto all’andamento mondiale del debito invece, il paese ellenico può anche essere visto come il canarino che nei secoli scorsi veniva portato nelle miniere di carbone per la sua particolare sensibilità a emissioni velenose; se il canarino smetteva di cantare, allora era il momento di evacuare. Ecco perché, almeno sul fronte del debito pubblico, la Grecia rischia di essere il canarino dell’economia mondiale. Si prenda il rapporto pubblicato la scorsa settimana dal McKinsey Global Institute. Il titolo dice già tutto: “Debt and (not much) deleveraging”. Cioè “Debito e (non molto) deleveraging”. Cosa sia il debito, è noto. Per “deleveraging” si intende l’opposto, cioè il processo di riduzione delle posizioni debitorie da parte di famiglie, istituzioni finanziarie o stati sovrani che intendono limitare la propria esposizione al rischio diminuendo la leva finanziaria. Più propriamente, infatti, il deleveraging è l’inverso del leveraging o effetto leva, che le istituzioni finanziarie usano per esempio allo scopo di accrescere i profitti effettuando investimenti con fondi presi a prestito.
“Dopo la crisi finanziaria del 2008 e la più lunga e profonda recessione dalla Seconda guerra mondiale – si legge nel rapporto del McKinsey Global Institute – era ampiamente atteso che le economie del pianeta avrebbero attraversato un periodo di deleveraging, o disindebitamento. Invece non è successo. Il debito continua a crescere in quasi tutti i paesi, sia in termini assoluti che rispetto al pil”.
Dal 2007, il debito complessivo – quindi quello degli Stati e quello dei privati – è aumentato di 57 trilioni di dollari, cioè di 17 punti percentuali del pil globale; 25 trilioni di dollari è il solo debito pubblico accumulato. “Le economie in via di sviluppo sono la ragione di circa la metà di questo aumento, e in molti casi ciò riflette un sano irrobustimento del settore finanziario – c’è scritto nel rapporto – Nei paesi avanzati, il debito pubblico è aumentato e il deleveraging del settore privato è stato finora limitato”. Soltanto negli Stati Uniti, ma anche nel Regno Unito, in Irlanda e in Spagna – i quattro “core crisis countries”, come li chiama il rapporto – il debito del settore corporate e dei consumatori è diminuito negli ultimi sette anni.
L’aumento debitorio più imponente tra i 47 paesi studiati, secondo gli studiosi di McKinsey, è quello cinese: il debito è quadruplicato in sette anni, arrivando al 282 per cento del pil della seconda economia del pianeta, maggiore di quello americano (pari al 269 per cento del pil). L’Italia in questa classifica si colloca al 12esimo posto nel mondo, con un debito complessivo pari al 259 per cento del pil: 139 per cento è il debito accumulato dallo Stato, 77 per cento quello delle imprese, 43 per cento quello delle famiglie. Un aumento di 55 punti percentuali rispetto al pil in sette anni, quasi tutto riconducibile all’aumento del debito pubblico.
Una delle conclusioni del rapporto è che l’attuale approccio utilizzato per tentare di ridurre il debito – un mix di crescita economica e rigore fiscale – “non sarà sufficiente”. Questa settimana si saprà quello che Atene riuscirà a spuntare dai partner europei sul suo debito monstre. Per i ricercatori di McKinsey, “sono necessari nuovi approcci per iniziare il deleveraging, gestire e monitorare il debito. Questo include innovazioni nei mutui e in altri contratti per condividere in maniera più efficiente i rischi; regole più chiare sulla ristrutturazione dei debiti; eliminazione della tassazione che incentiva l’indebitamento; utilizzazione di misure macroprudenziali per attenuare i boom creditizi. Il debito rimante uno strumento essenziale per finanziare la crescita economica. Ciò che dev’essere migliorato sono le modalità con cui questo debito è creato, utilizzato, monitorato e – quando serve – scaricato”.