Tra Grecia e Qe, la Bce si scopre "trasparente". Non ci sono soltanto vantaggi
La Banca centrale europea guidata da Mario Draghi ha mantenuto un ruolo chiave anche nell'evoluzione della crisi greca e delle trattative tra il nuovo governo ellenico e le controparti europee. Un ruolo decisivo sul finanziamento delle banche del piccolo paese, ma anche sulla decisione di applicare massima trasparenza alle decisioni in materia di politiche monetarie espansive. Ma assieme alla trasparenza arrivano i dubbi degli analisti sulle spaccature interne all'Eurotower. Dove ci porteranno?
Come ogni lunedì, oggi su Radio Radicale è andata in onda la mia rubrica "Oikonomia". Qui potete ascoltare l'audio (dura soltanto 5 minuti), e qui di seguito invece il testo.
Anche nelle recente evoluzioni attorno alla crisi greca, appare rilevante il ruolo giocato dalla Banca centrale europea. In particolare, ancora una volta, conta il tipo di comunicazione messo in campo dall’Istituto centrale.
Lo scorso 4 febbraio, per esempio, l’Istituto guidato da Mario Draghi ha detto di non voler più accettare titoli di stato greci in garanzia per i propri prestiti alle banche; una decisione tecnica, giustificata tra l’altro dai ripetuti annunci del governo greco di non voler rispettare alcune condizioni che ne avrebbero dovuto garantire la solvibilità. Una decisione tecnica, quella di Draghi e colleghi, che però conteneva un sottotesto politico: nemmeno le banche greche stanno in piedi senza gli aiuti in arrivo dalle autorità dell’Eurozona.
La scorsa settimana, poi, la Banca centrale europea ha pubblicato per la prima volta nella sua storia il resoconto di un suo vertice. In particolare, il resoconto del vertice dell’Istituto del 22 gennaio scorso in cui è stato deciso il lancio del cosiddetto Quantitative easing, o allentamento quantitativo, cioè l’acquisto su ampia scala di asset, innanzitutto titoli di stato. Nelle minute non ci sono riferimenti espliciti ai nomi dei singoli banchieri centrali nazionali che hanno partecipato alla riunione, ma per la prima volta dalla fondazione della Bce si viene a sapere ufficialmente dell’esistenza di opposizioni interne rispetto alla decisioni prese a maggioranza; e per la prima volta si viene a conoscenza delle argomentazioni utilizzate dai diversi banchieri centrali.
Siamo di fronte a un esercizio di trasparenza che si inserisce in una più ampia tendenza della comunicazione a giocare un ruolo centrale nella politica monetaria. Una tendenza avviata negli anni 90, dopo l’ideazione del cosiddetto “inflation targeting”, il fatto quindi di scegliere la stabilità dei prezzi come obiettivo finale della politica monetaria. A cavallo tra 1989 e 1990, fu la Banca centrale neozelandese la prima a esplicitare un obiettivo inflazionistico, determinato numericamente e perseguito nel medio termine. Ovviamente il fatto di avere un obiettivo inflazionistico esplicito rende più “accountable” o responsabile l’Istituto agli occhi dell’opinione pubblica, e comporta una maggiore trasparenza sia sulle previsioni sia sui risultati della politica monetaria.
La crisi finanziaria scoppiata nel 2007 e che nel giro di due anni ha contagiato le economie reali dei paesi industrializzati, ha dato un’ulteriore spinta al ricorso delle Banche centrali a scelte di comunicazione più trasparente. Questo è successo per vari motivi. Da una parte, banalmente, perché è accresciuto il numero e la frequenza di indicatori macroeconomici da commentare o cui è necessario reagire da parte delle Banche centrali. Inoltre non si può negare la sollecitazione arrivata dalle nuove e diffuse tecnologie dell’informazione in tempo reale.
Ma, secondo varie ricerche, sono state le stesse nuove politiche messe in campo dalle Banche centrali a richiedere maggiore trasparenza da parte di istituzioni tradizionalmente chiuse e imperscrutabili. Le Banche centrali infatti in questi ultimi anni si sono dovute lanciare nelle cosiddette politiche monetarie non convenzionali, come per esempio il Quantitative easing di cui parlavamo prima a proposito della Bce, oppure l’extraordinary forward guidance (cioè un modo di comunicare che i tassi di riferimento praticati dalla Banca centrale saranno più bassi del normale più a lungo di quanto richiederebbero le consuete politiche). A fronte di politiche non convenzionali, quindi quasi mai utilizzate prima, per il pubblico è diventato più complesso (a volte impossibile) tenere conto delle esperienze passate per anticipare gli effetti delle nuove politiche monetarie. Tuttavia il successo delle scelte di politica monetaria dipende in larga parte proprio dall’abilità delle Banche centrali di influenzare le aspettative future di cittadini e operatori privati. Perciò, a fronte di politiche monetarie non convenzionali, le Banche centrali hanno dovuto approntare politiche comunicative altrettanto non convenzionali.
Per descrivere la nuova “extraordinary forward guidance” e legarla credibilmente agli obiettivi della Banca centrale, per esempio, per la prima volta nel 2009 si fece riferimento alla cosiddetta “calendar-based guidance”. La Banca centrale canadese infatti, nell’aprile 2009, disse che il tasso di riferimento sarebbe rimasto a zero almeno fino al secondo trimestre 2010. Nell’agosto 2011 fu imitata in questa scelta verbale dalla Fed americana. Evidentemente parlare di tassi “eccezionalmente bassi”, “per qualche tempo” o “per un periodo prolungato”, non era più considerato sufficiente a influenzare il pubblico. Così si è deciso di fornire fondamenta più solide per basare le scelte dei privati su prestiti e spese, sostenendo indirettamente la domanda aggregata. Questo è soltanto un esempio: secondo il Fondo monetario internazionale, il Quantitative easing – cioè l’acquisto di asset, specialmente titoli di Stato - funziona quando l’ammontare di asset acquistati è corposo e quando gli obiettivi del programma sono stati comunicati in maniera tempestiva, trasparente e chiara.
La Bce, per la prima volta dalla sua fondazione avvenuta nel 1998, ha scelto di pubblicare le minute dell’incontro in cui è stato deciso il Quantitative easing per l’Eurozona. Finora della scelta della Bce è stata lodata la trasparenza, oltre che il tentativo di stabilire una maggiore “accountability” dell’autorità di politica monetaria. E’ pur vero che dallo stesso resoconto sono emerse pure le opposizioni di alcuni banchieri centrali che non ritengono l’acquisto di titoli di stato compatibile con “la specifica cornice istituzionale dell’Unione monetaria”. Al punto che alcuni analisti già avanzano dubbi su quest’ultima svolta comunicativa: mettono per esempio in luce il fatto che quando la Fed americana e la Bank of England avviarono il loro Quantitative easing, all’interno delle due Banche centrali si registrò la piena unanimità.